La Gatta, una favola moderna .....

LA GATTA, UNA FAVOLA MODERNA


La Gatta vi dà il benvenuto....

La Gatta potrà essere la vostra amica virtuale nei giorni di pioggia, nei momenti di solitudine...

La Gatta proverà a farvi sorridere con le sue stranezze, con le sue piccole follie...


Potete comunicare con la Gatta, inviando mail a: lagattabybarbara@gmail.com

L'indice dei singoli Capitoli è nell'Archivio in fondo alla pagina blog.... lì troverete anche i primi Capitoli....

Buona lettura :)



domenica 30 ottobre 2011

La Gatta © by Barbara Giorgi - 12 capitolo


12. NONNA  GINEVRA


Acqua: due atomi di idrogeno e uno di ossigeno. Cosa c’è di più semplice al mondo? Cosa c’è di più naturale sul globo? Eppure,  in alcuni luoghi l’acqua è più rara e più preziosa dell’oro e dei diamanti. Ma l’uomo occidentale – quello che usufruisce di lavatrici, lavastoviglie, lavaggi auto, lampade u.v.a. con doccia, toilettes  canine  e quant’altro - non ha ancora capito che quei pochi atomi di idrogeno-ossigeno sono oggi il bene maggiore dell’umanità.  Beh, l’acqua è necessaria per la nostra igiene personale e per la pulizia degli ambienti in cui viviamo: non siamo certo uomini primitivi! Ma se potessimo evitare di usarla pure per raffreddare le barre radioattive….

La Gatta, essere che riunisce in sé la duplice natura umana e felina, è invece ben consapevole della ricchezza implicita dell’acqua. Infatti, le sue docce non comportano mai sprechi (a parte qualche pozza imprevista e involontaria sul pavimento): un insaponamento vigoroso e consistente, seguito da getti mirati ed efficaci. Una cosa però se la concede: qualche secondo di calde spruzzatine su collo e schiena per rilassare  muscolatura e nervi. Con docce così, anche la peggiore arrabbiatura scompare come neve al sole, come un funghetto appassito tra le radici secolari di una sequoia, come una formica sfortunata sotto un piede umano. E così sembrerebbe scomparire la rabbia della Gatta. Sembrerebbe. In verità in quell’aria umida, dove viaggiano due o tre nuvolette di vapore acqueo, si percepisce una certa carica elettrica.
Uscita dalla doccia terapeutica al patchouli, seguita da massaggio con crema al burro di karité, la Gatta si infila in un asciugamano di spugna grande come un lenzuolo matrimoniale e si distende - unta come un’acciuga fritta - sopra il divano. Solleva le gambe in alto, perpendicolarmente al soffitto,  formando con il corpo un perfetto angolo di novanta gradi.
“Questa posizione serve alla circolazione: sicuramente mi arriva anche più sangue al cervello, così rifletto meglio!”  pensa,  certa dell’efficacia dei suoi metodi di rilassamento. In questa geometrica posizione ad angolo retto, la Gatta inizia a riflettere sul biglietto del Duca. Ma in verità la sua testa le comunica un vuoto assoluto: non sa cosa fare, come comportarsi, quale scelta adottare. Forse dovrebbe prepararsi per l’invito a cena e quindi levigare il suo viso come quello di una bambola di porcellana, eliminare qualsiasi brufoletto impertinente, truccarsi con mano sapiente ed accorta, vestirsi come una bomba sexy …. oppure…. oppure le è concesso rimanere distesa sul divano con le gambe allungate verso quel Cielo che forse la lascia un po’ troppo spesso sola, a risolvere dubbi amletici ai quali non riesce  mai a dare una risposta.
Le sue gambe ad un tratto ritornano sul divano. Con il suo passo felpato, la Gatta si alza  e lentamente va davanti all’autoritratto di nonna Ginevra, vicino alla porta d’ingresso. Quella signora con un lungo abito bianco la guarda con il sorriso di Monna Lisa. Quel sorriso che la Gatta ben conosce: un sorriso che dice tutto e niente e non si sa neppure se è un sorriso. Forse è una leggera smorfia contro la vita o contro qualcuno. Forse è la promessa-premessa di uno scherzo, di un ritorno, di una sorpresa…. Chissà.  Vai a capire nonna Ginevra: tutta un programma! Una Donna più Sapiens delle Sapiens. E la Gatta l’aveva tanto amata quella nonna incontenibile come una tempesta, folle e divertente come un’esplosione di fuochi artificiali,  dolce come una torta millefoglie stracolma di crema.
Nonna Ginevra. Ecco…. ora…. in quel preciso momento della sua vita, in quell’istante….  le sue parole le sarebbero davvero utili. E invece  il Cielo l’ha portata via!
La Gatta, davanti a quel quadro, si tuffa in un mare di pensieri. Nonna Ginevra: una donna di altri tempi. Alta, bella, con il portamento di una regina. Quando entrava in una stanza, intorno a lei si poteva notare, con una certa inquietudine, una luce leggera e soffusa che ne disegnava la figura. Sembrava una fata dei boschi, pronta a scomparire da un momento all’altro per tornare accanto ad elfi e fauni. La Gatta aveva ascoltato più volte i  racconti della sua gioventù, durante le sere d’inverno: loro due, sole, sedute davanti al camino e abbracciate strette strette, lontane dal resto del mondo, immerse in parole ed immagini che solo loro potevano comprendere e vedere. La nonna da giovane aveva lunghi capelli d’oro che sembravano un mantello morbido e quei capelli avevano fatto innamorare più di un ragazzo. Lei però non si preoccupava molto del codazzo di poveri innamorati che la seguivano ovunque: aveva ben altro a cui pensare! Dopo due lauree (dico due, e consideriamo i tempi….) in materie artistico-letterarie, aveva viaggiato per tutta la superficie del globo, con ogni mezzo di trasporto, con ogni situazione meteo-fisico-ambientale, passando da palazzi di nobili suoi pari, ad alberghi extralusso da un centinaio di stelle, fino a tende di cotonaccio sporco e maleodorante piazzate nel deserto, per giungere persino a ricoveri approssimativi dentro cunicoli cavernosi bui e umidicci. Viaggiava per soddisfare la sua sete di conoscenza.
Nonna Ginevra. Anche il nome era tipicamente nobile, da elenco telefonico: Artemisia Beatrice Camilla Desdemona Ermengarda Filomena Ginevra. Nel corso degli anni, la mente riflessiva della nonna era giunta alla seguente e ponderata conclusione: il nome Artemisia era magnifico perché riconduceva alla pittrice seicentesca, ma dopo aver visto il quadro più famoso della medesima, quella “Giuditta che decapita Oloferne” con schizzi di sangue in ogni dove…. le era nata un po’ di inquietudine “post film horror” e aveva deciso di optare per un altro nome del suo elenco telefonico personale. Dunque: Beatrice sapeva di eccessiva dolcezza a causa della dantesca memoria,  Camilla era troppo normale, Ermengarda faceva troppo “sparse le trecce morbide sull’affannoso petto”, Desdemona le faceva venire sempre un po’ di torcicollo e Filomena era il nome della sua pappagalla cocorita, per cui c’erano problemi di omonimia casalinga. Dunque rimaneva Ginevra: bellino!  Ricordava tanto Lancillotto e i cavalieri della tavola rotonda….  ma lei lo aveva preferito agli altri nomi perché ispirava una certa puntualità da orologio svizzero (dote di cui era sprovvista da sempre).
Nonna Ginevra era nata nobile (probabilmente contessa), ma aveva perso il tuo titolo a causa del matrimonio con un povero e normalissimo avvocato di provincia di cui si era perdutamente innamorata. Peccato che l’avvocato, bellissimo uomo dal fascino indiscutibile, avesse invece sposato Ginevra solo per i suoi averi (e forse anche per la chioma d’oro). L’avvocato, cioè nonno Rodolfo, nel corso degli anni aveva dilapidato tutti i beni o quasi della moglie, sia per estinguere i propri debiti di gioco, sia per comprare regali costosissimi alle ballerine di avanspettacolo di cui si circondava, lieto di essere o sembrare un tombeur de femmes , come il mitico Rodolfo Valentino Rudy (lo chiamavano così le sue amiche ballerine)  aveva privato la moglie della maggior parte dei beni della consistente eredità di famiglia: ville, palazzi, palazzotti, tenute, cavalli,  gioielli vari assortiti, auto grandi come salotti e molto altro ancora. Nonna Ginevra poteva solo subire: visti i tempi, non poteva certo lasciare marito, figli (due maschi) e la sua bella corazza di moglie perfetta. La pubblica morale l’avrebbe indicata come una sfascia-famiglie. Allora questa fata dei boschi, per dimenticare almeno per pochi istanti i dolori della vita, aveva scelto la sua personale “fuga dal mondo”: le sue fantasie più belle prendevano vita con le piccole sculture in marmo bianco e con i dipinti ad olio che lei creava. Soprattutto di notte. Quel palazzo dove ora viveva la Gatta era stata l’abitazione di famiglia degli avi della nonna: lì Ginevra aveva vissuto con marito e figli, lì Ginevra  si rifugiava di notte nella mansarda e sognava un amore diverso, un amore vero e pulito. Lo dipingeva nei suoi quadri luminosi, lo materializzava nelle sue piccole statue bianche. Nonna Ginevra era piena d’amore:  per questo riusciva a regalare sempre un po’ di sé a tutti, a chiunque. Soprattutto alla Gatta, a quella nipotina folle come lei. Forse era stata proprio la nonna a soprannominarla così, fin da piccola: “sei come una Gatta – le diceva – graffi….  ma chiedi solo amore.”  Eh sì, nonna Ginevra conosceva bene sua nipote: in questo momento la guardava da quell’autoritratto e non diceva una parola. Quelle labbra ferme, incollate sul quadro, bloccate dal tempo.

“E’ inutile: perché farmi del male? Perché continuo a guardare questo quadro? Perché vivere di ricordi? Lei non c’è più: punto e basta!” adesso la Gatta si gira di colpo, voltando le spalle al dipinto. Ma rabbrividisce improvvisamente: un leggero alito di vento, forse caldo, forse freddo, la avvolge dolcemente intorno al viso, solo al viso. Un’aria, un mulinello. E non cessa…. continua per un minuto almeno. La Gatta rimane ferma, incerta, timorosa, stupita: nessuna finestra è aperta! Poi, riesce a visualizzare quel venticello: è come una nebbiolina, una piccola scia color latte che si avvia verso la porta e scompare sotto di essa. Forse è una delle piccole nuvole di vapore acqueo della sua doccia! Chissà…. La Gatta si gira di scatto verso il quadro e fissa la nonna negli occhi: “no, nonna! Lo sai bene che questo non lo puoi fare! In sogno va bene…. ma non voglio sentir parlare di fantasmi! Non farmi brutti scherzi!”. Un po’ frastornata e un po’ spaventata, la Gatta ora - stranamente - scoppia a ridere. E ride, ride, ride: se quella nebbiolina fosse stata davvero nonna Ginevra? Matta,  matta di una nonna! E ride talmente tanto che le fanno male le mandibole e le lacrimano gli occhi. In verità, forse vorrebbe piangere….
Ma con tutto questo trambusto, tra ricordi e strani venticelli, stasera una Gatta può aver voglia di stare con un Duca praticamente sconosciuto e un po’ troppo sicuro di sé? Ora la Gatta non guarda più il quadro: guarda se stessa allo specchio e, mentre sente suonare il campanello del citofono, più e più volte, continua a ridere dolcemente. Dopo alcuni secondi (forse dieci, forse venti, forse di più….), il campanello tace.  La Gatta si avvicina all’angolo cottura e accende il forno: “stasera, pizza capricciosa e poi, forse, un film comico di quelli vecchiotti!”.  Toglie la pizza surgelata dal cartone e la inserisce in forno, mentre pensa che dovrà aggiungere certamente un bel po’ di mozzarella. Sono le otto passate e lei inizia ad avere fame. La pizza ora è pronta, bella calda e croccante: deve essere tolta dal forno. Cerca di fare attenzione a non bruciarsi, ma si brucia lo stesso, perché compie un movimento brusco. Sussulta all’improvviso, scossa dal suono del campanello della porta. Il campanello sta suonando? Sono le venti e trenta: non può essere ….lui, perché è  già passato prima e ha suonato al campanello del citofono! E se invece fosse lui? E se avesse deciso di fare un altro tentativo? E se…..?

venerdì 21 ottobre 2011

La Gatta © by Barbara Giorgi - 11 capitolo


11. QUEL  GRAN  GENIO DI  LEONARDO….


All’interno del variegato, variopinto, variabile, vigoroso universo maschile, è possibile individuare anche la categoria del Genio. Ma chi è il Genio? Semplice. E’ colui che si distingue dal resto degli ominidi testosteronici perché cerca disperatamente di far prevalere i neuroni sugli ormoni. A volte ci riesce pure: tutti dobbiamo rivolgere un pensiero di sincera gratitudine ai vari inventori della ruota (ma se l’avesse inventata una donna?), del telescopio, della lampadina, del telefono….
Il Genio soffre un po’ di dover soggiornare sullo scalino dell’Homo: infatti guarda sempre con invidia la posizione top della Donna Sapiens Sapiens, tentando anche attacchi con catapulta, ma non riesce mai ad arrivare al dunque, perché la Donna è avanti all’Homo, al Genio, alla realtà,  alla materia tutta. Perché lei sa muoversi tra favola, emozioni, anima: lei è un po’ più vicina al Paradiso.
Quindi Geni rassegnatevi! Continuate pure ad inventare telefoni sempre più complicati (che non sono più telefoni, perché ormai friggono anche le uova e tostano il pane)…. ma la Donna avrà sempre una marcia in più!
Nella categoria globale dei “Geni si nasce-Geniacci simpatici-Geni della lampada-Geni ingegnosi-Geni in cerca di ingegno-Genietti dei boschi”  si trova anche il nostro Genio dell’alta moda che vive trenta ore al dì nel suo elegantissimo ate (come già detto, l’atelier), circondato da uno stuolo di collaboratori-trici che non sa neppure lui quanti siano, come siano capitati lì e quali siano il loro nomi. Infatti li chiamo tutti “Coso” o “Cosa”. Del tipo: “Coso, please, passami gli aghi che sennò facciamo notte!” oppure “Cosa,  sorry, dammi un taglio qui, perché lo strascico è più lungo della muraglia cinese!”.
Il nostro stilista red-carpet è particolare anche nel nome. Il cognome già promette bene: Davincis (tutto attaccato, con esse finale). I genitori, alla sua nascita, avevano deciso di sottolineare una certa, lontana, omonimia con quel signore di tutto rispetto che disegnò l’Uomo Vitruviano. E così avevano chiamato il loro erede…. Leonardo.
E il nostro Leonardo Davincis, probabilmente per abitudine e comodità,  aveva deciso di mantenere il suo vero nome anche nella professione. Sì, certo, aveva pensato anche a cambiamenti tipo Giotto,  Donatello, Michelangelo, Raffaello (tanto per rimanere in tema artistico), ma poi era tornato alle origini. Alla mamma sarebbe dispiaciuto molto vedere le creazioni di alta moda di quel Genio del figlio, firmate con nomi di pittori…. qualsiasi…. E poi Leonardo Da Vinci (quello vero) fu un uomo più che completo: artista, scienziato, ingegnere e molto altro ancora!
Quindi il nome oggi è rimasto tal quale, ma diventa Leo per la Gatta e per gli amici più intimi. Leo sembra piuttosto il nome di un cocker, ma tra amici può anche  andare bene!
Il nostro Genio non passa certo inosservato. Quando entra in una stanza,  riesce sempre a catalizzare l’attenzione: è come un ciclone che ingloba tutto  nel suo cono di energia. Alto, sottile, con capelli neri cortissimi, elegante nel fisico e nel portamento. Due occhi azzurri dietro un paio di occhiali   che ogni volta vengono cambiati in base  all’abbigliamento,  allo stato d’animo, agli appuntamenti di lavoro, alle condizioni meteo e al giorno della settimana. Possono andare dal rosa confetto al rosso ciliegia. Quando è particolarmente ispirato,  il Genio indossa quelli zebrati.

Dopo una bella sudata nel traffico tra spider color verde speranza, furgoncini arrugginiti,  scooters  saettanti, biciclette incerte e quant’altro possa offrire oggi la splendida realtà cittadina, ecco che la Gatta si ritrova davanti al portone di ingresso dell’atelier. Suona decisa il campanello:  il nome “Leonardo Davincis” troneggia su una targa di ottone incorniciata da strass e perle. La Gatta quando la guarda non sa mai decidersi se le piace o le fa venire mal di testa.
Entrata nel palazzo, si dirige attraverso un corridoio affrescato come la Cappella Sistina, verso una porta rivestita di pelle nera. La porta è socchiusa e la Gatta entra con il suo passo felpato, pronta a tirare fuori gli artigli in caso di “attacchi” causa ritardo.

La stanza del laboratorio è anch’essa affrescata, sul soffitto. Le pareti sono dipinte d’oro (ovvio!)  e  il pavimento è in seminato veneziano di mille e più colori. Il Genio Leo è circondato da un’allegra corte  di Cose e Cosi, tutti infilati in camici bianchi di cotone: sembrano infermieri in una sala operatoria. Lui è chinato davanti ad una modella giunonica, con capelli ramati lunghi e ondeggianti. La modella è ferma come una statua di sale: sembra che non respiri…. forse non respira proprio….  forse  è  proprio una statua….
“Anche perché – pensa con un po’ di stizza la Gatta – è un po’ troppo…. perfetta!”
La modella-statua  sposta leggermente il suo sguardo glaciale verso la Gatta: la fissa dall’alto del suo metro e ottantatre  di altezza (senza scarpe) e fa una leggera smorfia.
Mentre la Gatta sta per ricambiare lo sguardo con la stessa capacità comunicativa, ecco che il Genio si accorge della sua presenza nella stanza, si alza dalla posizione fetale e le va incontro. Ma dopo due passi, si inchioda stupito al pavimento.
“Stellina bella!  - lei non è chiamata “Cosa” come le altre -  come ti sei vestita?  Da dove  nasce  questo look da menopausa?”
Look da menopausa? Come osa.... ? Il suo look è semplice, ma chic! Le dita della Gatta si inarcano: gli artigli iniziano ad allungarsi a dismisura. La Gatta soffia aria dalle narici e fissa con i suoi grandi occhi di giada lo stilista red-carpet Genio dell’alta moda. Cosa accadrà?
“Però sei bellina come sempre e io ti adorooooo…. Oggi più che mai perché ho bisogno del tuo aiuto!”
La Gatta ritira gli artigli e il naso cessa di emettere aria. Comunque si gira di scatto verso la statua di sale e la guarda con aria di sfida, della serie “prova a dire qualcosa e ti smonto pezzo per pezzo!”
Ma è ora di pensare al lavoro: ci vuole un’idea per l’abito da sera. Deve essere qualcosa di eccezionale, mai visto. L’opera d’arte - più artistica - della storia dell’arte. Perché le creazioni del Genio non sono solo abiti: molto probabilmente, in un prossimo o lontano futuro saranno esposte al  Louvre, al Prado, al British Museum, negli Uffizi.
Il vestito proposto dalla Gatta forse non sarà esposto nei musei, ma non è da sottovalutare: un abito sottoveste rosso veneziano, lungo fino ai piedi, rifinito all’orlo con pizzo macramè. L’opzione è  sul colore: potrebbe anche essere nero notte-profonda. Lo stilista deve riflettere bene su queste alternative: ne va del suo prestigio.
Dopo lunghe discussioni sul rubino e la notte-profonda, il Genio decide per un color oro. Una scelta obbligata: la diva che lo indosserà…. dovrà splendere di luce propria (ma forse quella diva deve ancora nascere). Quindi fa portare qualche metro di seta oro e inizia a drappeggiarlo intorno alla modella-statua, adrenalinico per il lavoro che lo attende.
Bene. Dopo tanto impegno fisico-cerebrale, tutto il gruppo di lavoro di Cose e Cosi lì presenti abbandona la stanza per la pausa pranzo. Educatamente lo stilista chiede alla Gatta:  “Amo….  Stellina bella…. Cosa vorresti mangiucchiare?”
“Va bene un tramezzino al tonno” risponde lei,  esausta dopo il testa a testa  del vestito.
“E tu? La solita insalata scondita?” chiede il Genio alla statua con i capelli di rame.  La statua annuisce.
Arriva il cibo ordinato al baretto di fronte all’atelier. La Gatta nota che la statua ora si sta muovendo: con indice e pollice destri apre la confezione contenente l’insalata scondita. Preleva una foglia verde, larga circa cinque centimetri (è almeno mezza caloria) e la osserva con attenzione, prima di introdurla in bocca con aria un po’ rassegnata. La Gatta pensa a Dea…. pensa a quei laghi di olio d’oliva,  dove le foglie di insalata  navigano come chiatte lente. E mentre continua a fissare quel quadro triste della statua che mangia foglie scondite, addenta il suo tramezzino al tonno-maionese-pomodoro. Chiude gli occhi: se dovesse scegliere tra uomini e cibo, non avrebbe dubbi. Un tramezzino così è certamente meglio di qualsiasi uomo passato, presente o futuro. Un tramezzino così fa dimenticare qualsiasi uomo, compresi Duchi, individui dentro spider color verde speranza, stilisti red-carpet  e quant’altro possa offrire Madre Natura.

Il pomeriggio trascorre ancora tra prove d’abito, Cose e Cosi, statue di sale… e arriva l’ora di tornare verso il nido, la sua bella e accogliente mansarda.
La Gatta saluta tutti, anche la statua, esce dalla porta di pelle e poi dal portone, non guarda la targa di ottone con strass e perle perché non vuole avere incubi notturni, sale in auto e, come in trance, guida verso casa.
E’ ormai arrivata davanti al portone: sale le scale sbadigliando un po’. Ondeggia dentro le ballerine per la stanchezza. Sull’ultimo scalino si ferma: spalanca occhi, bocca e narici.  Lì,  proprio davanti alla porta della sua mansarda, c’è un cesto in rattan con una forma che ricorda la testa di un gatto. Dentro la testa del gatto, c’è una cupola di rose rosse….. anzi….  boccioli, tutti boccioli piccoli, ben chiusi, color rosso sangue. Sembrano di velluto, ma sono veri, verissimi: boccioli di rosa che emanano un profumo sottile, delicato.
Da un orecchio della testa di gatto, pende un biglietto bianco, senza busta: “Mi hai perdonato? Ti invito a cena: passo a prenderti stasera, ore venti. Duca.”
La Gatta esplode in un:  “ma guarda un po’ questo!”
Poi controlla l’orologio: sono quasi le diciannove (o sette p.m). Manca poco più di un’ora. Intanto farà una doccia: sotto l’acqua, ispirata dal suo bagnoschiuma al patchouli,  potrà riflettere un po’ sui marziani.
E così….   raccoglie il gatto di rattan con i boccioli di rosa, entra nella mansarda e chiude fuori le follie del mondo….

sabato 15 ottobre 2011

La Gatta © by Barbara Giorgi - 10 capitolo


10.  LA  DONNA  SAPIENS   SAPIENS


Dopo approfonditi studi scientifici durati secoli (e iniziati ben prima di Darwin), si è giunti alla seguente e oggi ben nota conclusione: la specie umana (così come qualsiasi altra specie della fruttifera Madre Natura) è stata oggetto di mutazioni  genetiche, verificatesi nell’arco di milioni di anni. La famiglia degli ominidi, la nostra, ha avuto origine da un progenitore dello scimpanzé, più o meno cinque o sei milioni di anni fa. E’ un po’ inquietante pensare di essere parenti di questi simpaticissimi animali…. ma che vogliamo farci? Almeno noi abbiamo perso un po’ di pelo durante gli anni….
Si è anche pensato bene di rappresentare questo cammino storico dell’ominide con una bella scala, ponendo su ogni gradino l’individuo  che potesse rappresentare al meglio ogni passaggio cruciale della fatidica evoluzione. Sul gradino più alto, ecco ben piazzato l’Homo Sapiens Sapiens, cioè il cugino evoluto e depilato dello scimpanzé,  che vive solo ed esclusivamente grazie ai vari cellulari, p.c.,  chiavine-pennine, navigatori satellitari, social network, brunch, apericena con molto mojito e poca cena, vernissage, see-you-later, benzina che inquina, footing nel parco la domenica, sms per dire “tvtb, nn ci ved, cm va” e altre magnifiche espressioni da sonetto dantesco….
Sì proprio noi,  da qualche milione di anni fa, fino a giungere  al ventunesimo secolo. Per il “dopo”, non so che dirvi,  perché si parla di imminente fine del mondo calcolata a tavolino dai Maya che, ho sentito dire, erano  astronomi davvero in gamba....
Ma Darwin e colleghi dimenticarono di sottolineare un aspetto fondamentale dell’evoluzione, che oggigiorno sarebbe ormai il caso di riconoscere, in quanto dato  evidente-scontato-ovvio: dopo lo scalino dell’Homo Sapiens Sapiens, c’è lo scalino della Donna Sapiens Sapiens. Ma, direte voi, con il termine “Homo” sono compresi sia l’uomo che la donna. Ma anche no!  Per quanto tempo ancora le  povere donne dovranno essere considerate una parte implicita dell’universo maschile? Pertanto, proviamo ad essere precisi: l’uomo è uomo e la donna è donna (ragazze,  cerchiamo di esultare almeno dieci minuti al giorno di questo bel regalo del Cielo!).
Dunque la donna è su questo scalino al top e se lo è davvero meritato, dopo dure scalate free climbing, su pareti rocciose di Pregiudizi, con ampie zone molto scivolose, lisce, con pochi punti di presa. Ovvio: sono pareti costruite da secoli di mentalità intrisa di testosterone. Ma la donna, le sue belle pareti le ha affrontate e superate  una ad una….
Sullo scalino top troviamo anche la nostra amica Gatta: come tutte noi, se ne sta bella ancorata lì,  consapevole di dover difendere ogni giorno quello spazio duramente conquistato.

Il giorno dopo l’appuntamento fallito,  la Gatta Sapiens Sapiens mette i piedi giù dal letto senza neppure l’auto-analisi del sogno notturno. Anche perché, stranamente, stamani non ricorda alcun sogno: forse ha avuto solo incubi che tenta di rimuovere immediatamente!
Mentre beve il suo caffè, torna con il pensiero al consiglio di Dea sugli uomini. Non condivide nulla del  parallelo uomo-pomodoro: ovvio! Per lei, l’uomo va lasciato free. Imporre limiti non è nel suo stile: lei ama la libertà più assoluta….  figuriamoci quindi se desidera vivere tra verifiche, controlli, monitoraggi. Non ne sarebbe proprio capace!
Dopo il caffè (e una tavoletta di cioccolato al latte con nocciole e pistacchi),  intervento con dentifricio alla menta piperita e colluttorio anti-tutto (batteri aerobici, anaerobici e parassiti vari), seguito da una scelta rapidissima d’abito. Le scarpe…beh… le prime che trova (allora è ancora un po’ in crisi). Un po’ di lucidalabbra alle fragoline di bosco (ma poi se lo “mangia”  senza rendersene conto). Borsa, chiavi, scale, portone. Ecco! Appena fuori dal palazzo,  gira su se stessa come una giostra che si avvia, inspira qualche metro cubo d’aria intriso di profumo di magnolia, fa un sorrisetto al sole, al mondo, alla sua amica quattroruote.
“Oggi mi sento creativa!” pensa convinta e sicura di sé  “e quando mi sento così, potrei conquistare il mondo!” e con questa affermazione al condizionale  - per evitare eccessi di onnipotenza - avvia il motore e va.

La Gatta non lo ricorda ancora, ma ha un appuntamento di lavoro. Le verrà in mente appena giunta nel suo studio-laboratorio-covo creativo e ciò grazie ad uno specifico post-it azzurro, posizionato sul p.c., nel bel mezzo della scrivania, attaccato con lo scotch perché i suoi post-it non sono mai autosufficienti, cioè non si attaccano mai come dovrebbero. Forse si rifiutano di raccogliere idee troppo impegnative!
L’appuntamento è con uno stilista emergente: da qualche mese la Gatta disegna abiti per lui, per il suo atelier. Abiti da sera. Abiti un po’ fiabeschi. Abiti….  red-carpet. Non si sa se qualche diva del cinema potrà mai essere interessata a comprare abiti  red-carpet da questo giovane Genio dell’alta moda, ma non creiamoci troppi problemi. Non si può sempre pensare al peggio: un po’ di ottimismo non guasta!
La Gatta ha l’incarico di riflettere con tutta la sua scoppiettante fantasia  su un abito da sera in seta, da presentare alla prossima sfilata dello stilista, che si terrà per pochi intimi (vip decaduti, semi-vip, sedicenti vip), all’interno del  palazzotto di famiglia del Genio.

La Gatta entra dunque nel suo  covo e appena accesa la luce (perché dalle finestre del piano terra entra poco sole), saluta il lampadario che oggi le sembra più bello e scintillante del solito. Osserva bene le gocce di cristallo, quasi contandole, come per accertarsi che siano davvero tutte lì per lei, a farle compagnia. Vicino alla scrivania le cade l’occhio destro (quello della lacrima di ieri) su quel pezzetto azzurro soffocato da due strisce di scotch. “Acc….  l’appuntamento,  il vestito red-carpet! Sono in ritardo....  paurosissimissimo!”.
Il suo cellulare rosa squilla in modo prepotente: è lo stilista red-carpet. Lei guarda il nome del chiamante: Leo.
“Amooooooo!!!!......”  la voce del creativo urlicchia la prima sillaba di “amore” (oggigiorno fa molto minimal  tagliuzzare qua e là le parole, perché si risparmia parecchio tempo).
“Tesoro, ciao, ascolta….” con voce suadente e molto ruffiana la Gatta tenta di introdurre una giustificazione del ritardo, possibilmente credibile.
“Non mi infilare il tuo solito imprevisto très naif, perché stamani non c’è proprio storia che tenga. Qui nell’ate (atelier, n.d.r.) c’è un inferno dantesco e io mi sento tanto Caronte. Quindi taci di brutto e catapultati qui senza emettere fiato alcuno!”. E la telefonata cessa di colpo.
“Ma ha chiuso così…. senza attendere risposta?” pensa  la  Gatta mentre corruga le sopracciglia “E’ pazzo. E se io dico che uno è pazzo vuol dire che lo è davvero,  perché ormai conosco ogni aspetto della follia umana! Forse io sono la più sana di tutto quel circo con cui ho a che fare ogni giorno!”

Distese le sopracciglia, la Gatta fa scorrere lo sguardo sul suo  normal-chic-look. Un abitino nero di cotone con tre quarti di manica.  Un paio di ballerine nere di vernice (si accorge solo adesso di avere ai piedi le ballerine). Ma questo è un look adeguato per presentarsi davanti a  un Genio dell’alta moda? E’ vero, è tardi, ma a volte è necessario buttare via qualche minuto in più, per non sentirsi banali come uno spaghetto al burro.
La Gatta  preleva velocemente da un manichino due cosette da aggiungere al suo normal-chic-look: una collana di perle lunga fino alla vita e una borsa nera piccola piccola, di pelle verissima, a forma di cuore. Entrambi gli oggetti sono cimeli di guerra della Regina Madre, la genitrice di Luna e Dea, consegnati alla Gatta per un necessario ”restauro”.
La Regina Madre è così definita da sempre, in quanto ape regina protettrice di tutto il suo nucleo familiare e di qualsiasi altro nucleo o singolo individuo che le  capiti a tiro: in effetti,  ha il meraviglioso dono di prendere in mano, gestire, organizzare la vita di ogni essere vivente che si possa trovare sul suo cammino. Riflettendo su tutti questi aspetti edificanti della Regina Madre, la Gatta giunge alla conclusione che il “prestito” di collana-borsa avrebbe certamente l’approvazione della legittima proprietaria: anzi, l’ape regina insisterebbe proprio nel farle migliorare il look con oggetti stile Audrey (la sua attrice preferita).
Per completare l’opera, la Gatta avvolge i capelli in uno chignon alto e gonfio, fissandolo con una pinza per fogli di carta. Tanto la pinza non si vede, nascosta sotto l’impalcatura dei capelli. Poi, controlla nel cassetto della scrivania e trova un rossetto vecchiotto, ma ancora utilizzabile. Con questa pennellata di colore sulle labbra che sembra dire “guardatemi ma non toccatemi”, la Gatta si affretta a girarsi sui tacchi. No, sui tacchi no, perché ha le ballerine. E camminando come fa una paperella fuori dall’acqua, arriva fino all’auto e si rituffa con il coraggio tipico della Donna Sapiens Sapiens in mezzo all’orda di barbari del traffico cittadino.  
La Gatta è  consapevole di dover subire, per almeno un quarto d’ora di strada, i classici improperi  maschili, rivolti a lei e a tutte le donne vaganti su due o quattro ruote.
Mentre tenta di focalizzare idee interessanti da proporre allo stilista red-carpet, le sfreccia veloce accanto una spider color verde-speranza-di-farsi-notare, con sedili di pelle amaranto (un inno alla sobrietà).
Una voce testosteronica  tuona fuori dall'abitacolo:  “ma vai a lavare i panni  che è meglio!”  
Lei educatamente tace.  Perché una Donna dovrebbe regredire al livello dello scalino Homo Sapiens Sapiens?
E, continuando a svolazzare leggera nel traffico, si limita alla creazione di  un pensiero di  perfida pianificazione domestica:  “sì, ma in lavatrice metterei volentieri te, a novanta gradi, con candeggina…. e senza eliminare la centrifuga!”

lunedì 10 ottobre 2011

La Gatta © by Barbara Giorgi - 9 capitolo


9.  COME  CONDIRE….  GLI  UOMINI   E   L’INSALATA


In alcuni momenti della vita è impensabile credere di bastare a se stessi. Ciascuno di noi ha grandi risorse dentro il cuore e dentro la mente, ma l’essere umano è meraviglioso proprio per i suoi limiti, per le sue imperfezioni, per gli errori che compie, per le emozioni vissute come attimi  fuggenti….
Tutto il nostro universo di pensieri ed azioni a volte è ingestibile, ci sfugge di mano, ci travolge come un’auto in corsa, come un’ondata oceanica, come un vento improvviso e freddo, lasciandoci senza fiato, spossati, vacillanti e quasi stupiti. Ed è  allora che, come non mai,  abbiamo bisogno dei nostri simili: del resto l’essere umano è un essere sociale, tendente all’aggregazione, alla vita in comunità. Gli eremiti vanno bene nelle storie di altri tempi: quando si parla di duemilaundici, l’eremita  è ormai un essere in via di estinzione, che comunque sopravvive grazie a due esemplari tipici. C’è quello profondamente convinto della sua scelta di vita per motivi spiritual-religiosi (con barba lunga, ispida, sede di colonie di allegri e panciuti pidocchi) oppure quello “a scadenza”, che fugge per circa un mesetto (non di più) dalla holding di cui è presidente, per ricongiungersi con il proprio Io, perso di vista durante l’ultimo CdA (cioè  il  “consiglio di amministrazione”, ovvio).
La Gatta non amerebbe la vita dell’eremita. No. Nei momenti di crisi lei ha bisogno dei suoi simili: nello specifico, come già detto e sottolineato, individuabili nel composto chimico Luna-Dea. Esattamente: due al prezzo di una. Ed ora…. il composto chimico sta arrivando….

“Ehiiiiiiiiiii! Eccociiiiiiiiiiiiiii!!!” quella che urla in strada come una scimmia è Dea. Ovvio. Davanti a tutti, mentre ondeggia dentro una minigonna rossa,  grande come un nastro per capelli.
“Zitta! Taci! Stop!” Luna chiude la portiera dell’auto e solleva lo sguardo verso il balcone, mandando un bacio alla Gatta. Oggi ha gli occhiali, ma non possiamo sapere se sono necessari alla sua vista oppure se sono necessari per ottenere una certa aria da intellettuale. Comunque gli occhiali le stanno bene ed effettivamente la fanno sembrare un tipo intelligente. Non che sia stupida, ma l’occhiale aiuta.
La Gatta apre la porta della mansarda e le bacia entrambe con un viso enigmatico. Ora è giunta l’ora delle spiegazioni! Perché un sms con “help”? Un attimo. Qui serve una logistica precisa per affrontare l’argomento. La Gatta e Luna si siedono sul divano: Luna si toglie le scarpe e mette le gambe in posizione yoga, incrociate l’una dentro l’altra, con la disinvoltura e la convinzione di un asceta indiano. Dea invece prende qualche cuscino (non quello nero, perché la Gatta la guarderebbe molto male), sistema tutto per terra e si sdraia a pancia in su, fissando il soffitto in cerca di domande intelligenti e sensate che possano subito inquadrare la situazione, cercando di anticipare la sorella.
Ma arriva prima Luna: “Ora ci racconti per benino tutto quanto. Che problema c’è?”
Dea stacca lo sguardo dal soffitto di travi di legno e si siede immediatamente sui cuscini, fissando alternativamente la sorella e la Gatta: non può permettersi di perdere un fiato delle due, pena l’esclusione dal gioco della verità. E queste esclusioni la fanno sempre arrabbiare!
“Uomini. Anzi, un uomo. Anzi, uno stupido che si fa chiamare Duca e non si è presentato ad un appuntamento. E per scusarsi, mi ha fatto recapitare quelle orrende rose rosse.”  In due righe, la Gatta sintetizza la rabbia di una mattina di lavoro persa (perché mettiamoci pure il fatto che non è andata a lavorare!). Capacità eccellente quella della sintesi.
Le due sorelle si girano di scatto verso il vaso di vetro con le rose.
“Uomo  orribile!” sibilla Luna.
“Uomo tipico: sono tutti uguali!” enuncia la sinapsi attivata in Dea.
“Però le rose sono belle…” aggiunge Luna.
“Belle,  ma poche.  Roba da tirchio!” corregge Dea.
“Belle, rosse, baccarat e in numero sufficiente!” e Luna chiude il primo round.
“Sorvoliamo sulle rose e parliamo del biglietto. C’è scritto sorry….perdonami… e stupidaggini simili. Ora cosa faccio?” chiede la Gatta cercando di riprendere in mano la situazione.
“Nulla. Aspetti!” sentenzia Luna.
“Nulla. Ne cerchi un altro!” e Dea soddisfatta del suo consiglio alternativo, torna a sdraiarsi e a fissare le travi di legno. Anche perché arrivare a simili conclusioni è cerebralmente impegnativo: non è da tutti!
“Cercarne un altro? Ma io non vado in giro in cerca di uomini! Proprio non mi interessano: io con gli uomini ho chiuso, perché sono esseri di un altro pianeta e non ho voglia di sforzarmi per capire le culture  extraterrestri.”
“Non puoi dire così: in fondo l’uomo e la donna si completano….” dice Luna a voce bassa, senza troppa convinzione.
“Non puoi dire così: tanto sai che non è vero! Il prossimo tipo lo cucini per bene! Lo cuoci a fuoco lento!” Dea sente la propria voce articolare queste interessanti affermazioni e notando di non essere interrotta prosegue sicura con il suo piano di guerra “e una volta cotto a puntino, lo condisci per bene! Cioè: controlli a vista, controlli del cellulare, verifica di ogni amicizia! Insomma lo fai bollire, lo ricopri di sale, lo chiudi ermeticamente in un barattolo di vetro! E poi lasci solo un centimetro d’aria sotto il coperchio….  altrimenti  sono guai!”
 “Quando parli,  ti ascolti? No, perché stai paragonando gli uomini ad una conserva di pomodori!” e Luna fissa la sorella con aria di superiorità, sospirando, consapevole dell’incurabilità di quella mente.
Mentre Luna scioglie le gambe intorpidite dalla posizione yoga, la Gatta nota un aumento delle saette cerebrali di Dea.
“Quando parlo mi ascolto e godo immensamente delle mie sagge parole! Sì, perché il paragone uomini-pomodori è più che azzeccato! Entrambi vanno consumati possibilmente maturi, perché quando sono acerbi ti si piazzano come mattoni nello stomaco. Sono in-digesti ed in-gestibili. E anche quando sono maturi è sempre bene cuocerli, condirli, conservarli al chiuso, perché la fregatura è sempre dietro l’angolo” Dea parla ormai con la competenza di uno chef esperto “Gli uomini vanno conditi a dovere, come tentano di fare loro con noi!”
La Gatta esce dal suo silenzio per chiudere il temporale di neuroni delle amiche: “Va bene! Ho capito Dea: secondo te, devo adottare il metodo  pan per focaccia!”

Tutto questo parlare culinario sta risvegliando l’appetito delle ragazze. E poi è ora di pranzo. La Gatta si alza dal divano e si catapulta verso il frigo.
“Un’insalata va bene?” chiede con un tono che non ammette risposte negative.
“Adoro l’insalata con un filino d’olio extravergine di oliva, altrimenti detto e.v.o.” si affretta a rispondere Luna.
“Insalatona verde e rossa, un fiume d’olio e un chilo di sale! Alla faccia della cellulite! E aggiungerei pure un po’ d’aceto balsamico che fa molto trendy.   Dea corregge.
Le tre ragazze si siedono a tavola: tovagliette all’americana di tessuto matelassè color rubino, piatti di vetro fumé, posate con manici di osso nero. Bicchieroni antichi della nonna rifiniti d’oro (finto) con intarsi e pietre: la gioia di Dea, che adora bere in quei calici fiabeschi. Si sente Fata Morgana: le manca solo la sfera di cristallo.
Sul tavolo: insalata, oliera per non scatenare le guerre puniche e lasciare a ciascuna la sua libera scelta, mozzarelle, crackers, grissini al sesamo.  Acqua gassata e non, succo d’ananas, succo di pompelmo rosso.
E tra un boccone e un altro, le tre ragazze parlano di uomini, di esperienze vissute o ascoltate o lette.
E le loro voci si incalzano, si sovrappongono, si fondono.
E arrivano le risate: quelle che nascono dal cuore, quelle che ti fanno dire “aspetta che soffoco”, quelle che ti fanno scuotere la testa e lacrimare la cornea tanto che non vedi più il piatto e non sai se l’insalata è ancora lì, immersa nell’olio. Risate che liberano l’anima….
Ma lasciamole ridere di quegli esseri, di quei marziani che tutte adoriamo ed odiamo contemporaneamente. Lasciamole ridere - senza cattiveria - di quegli individui che vorremmo tanto cambiare e rendere simili a noi, ben sapendo che poi il prodotto finale ci annoierebbe, perché non avremmo più nessuno di cui sparlare.
Lasciamole ridere….  come  solo loro tre sanno fare….

venerdì 7 ottobre 2011

La Gatta © by Barbara Giorgi - 8 capitolo

8.  LUNA,  DEA  E  LE  SINAPSI


Il  Dna umano, quella meravigliosa scala a chiocciola che ci progetta e ci costruisce nel dettaglio, contiene al suo interno il Gene della socialità, carattere innato, da secoli, da  millenni di selezione naturale. Nei momenti di crisi, il Gene della socialità si sveglia da eventuali torpori, si dà una rinfrescatina, indossa il suo abito migliore e si prepara ad agire con profonda convinzione e professionalità. Perché il Gene della socialità è un ottimo freelance: lavora quando capita, all’occorrenza, ma sempre con serietà e dedizione. La sua sfida professionale sono  i momenti di crisi dell’essere umano in cui soggiorna.
I momenti di crisi: ma cosa sono esattamente? Sono quegli attimi o addirittura ore, giorni, che ci fanno sentire come un’anguilla ancora viva.… sì.… ma in attesa di essere bollita. L’anguilla prova ad uscire dalla bustona di plastica del pescivendolo, cade dal tavolo della cucina con un tonfo sordo e striscia poverella sul pavimento cercando un riparo, una via di fuga, qualsiasi alternativa che possa condurla lontana dalla pentola sul fuoco. Inutile tentare? … chissà! 
Quando un essere umano vive la fase dell’anguilla capisce perché sarebbe più carino  essere vegetariano!
La Gatta, quando entra nella fase dell’anguilla (e ci entra spesso), sa perfettamente che l’unica via di fuga sono le sue migliori amiche. Migliori in che senso? Non perché siano perfette. No! Sono piuttosto esemplari viventi di imperfezione umana che rasenta l’improbabile e l’assurdo. Ma sono certamente le migliori per la Gatta, perché dentro tutta la loro improbabilità, la loro assurdità,  hanno ben nascosta un’anima generosa, grande e simpaticamente esplosiva.

Luna e sua sorella minore Orchidea, detta …. Dea. Già, perché una che si chiama con il nome del fiore più chic, elegante, costoso, delicato, mica può avere poi un diminutivo qualsiasi, da comune mortale. Appunto: Dea, come la mitologica figura riferibile alle varie Giunone, Venere, Minerva, Diana e colleghe di ogni ordine, tipo ed ambito di azione (dalla procreazione alla caccia).
Luna e Dea: non solo sorelle, ma una vera “associazione a delinquere”, perché se la Gatta è strana, loro non sono da meno. E in due, l’eventuale effetto di azioni inconsulte non è condiviso, piuttosto è raddoppiato! Ma Luna e Dea non sono cattive ragazze. Anzi! Come ho detto, hanno un cuore grande. Il problema è che preferiscono prima agire e poi pensare. E anche quando pensano, è sempre troppo tardi.
Comunicano tra loro tramite un sistema parallelo che pone in relazione i loro articolati e fantasiosi cervelli: le sinapsi del cervello di Luna comunicano con quelle di Dea, creando una specie di  sinapsi aerea ed esterna tra i due cervelli, caratterizzata da scariche elettriche,  quasi visibili ad occhio nudo. Sì… la Gatta quando parla con loro, vede in giro fulmini e saette di color giallo oro, con punte rosso fuoco. E allora si rende conto che sta per arrivare un temporale di neuroni.
Il sistema comunicativo delle due sorelle si basa essenzialmente su veloci battute che spesso esalano acidità, ma che nascondono un amore immenso l’una per l’altra. Luna e Dea apparentemente non si sopportano molto, ma in verità si amano e si completano a vicenda. Come un gelato con le cialde: c’è il cucchiaino, ma non te ne accorgi neppure, perché proprio non ha senso, visto che quei biscottini sottili sono lì apposta per unirsi in un momento d’estasi con crema e amarene….
Luna e Dea: entrambe bionde, con lunghi capelli, occhi chiari. Molto belline, ma un po’ banali a causa di quel pallore di pelle-capelli-occhi che le fa sembrare due bamboline senza carattere. Solo sembrare però. Tutta apparenza. Il pallore dell’aspetto, la loro lunarità, scompare di fronte al sarcasmo di cui sono quotidianamente capaci. Senza tregua, possono colpire chiunque capiti a tiro. Mai con volontà di ferire: per loro è puro divertimento. Un allenamento di neuroni.
La loro amicizia con la Gatta è remota: risale all’infanzia della nostra amica, quando viveva ancora con i due genitori in un elegante appartamento, di fronte a quello della famiglia di Luna e Dea. La Gatta è stata anche compagna di classe, di banco e  amica-del-cuore-numero-uno  di Luna. Stessa età, stessi sogni, stessi miti… Dea rimaneva sempre un po’ indietro, gelosa di queste due “grandi” che spesso la mandavano fuori dalla stanza quando si scambiavano confidenze. In fondo lei aveva solo qualche anno di meno…. Le perfidie dei bambini: esseri dolcissimi che sanno distruggersi l’un l’altro con uno sguardo o un silenzio o due parole buttate lì.  Basta un “vai via” e il mondo intorno si sbriciola come un biscotto secco.
Tutto questo fino all’adolescenza, poi la  strada della Gatta ha subito una sterzata: la morte dei suoi genitori (per un incidente aereo), la nuova vita con nonna Ginevra, tanto amabile quanto impegnativa, soprattutto per una ragazzina. Luna e Dea però sono sempre rimaste le sue migliori amiche. E sempre lo saranno: una delle poche certezze di vita della Gatta.

Quando la Gatta arriva a casa è ormai in piena fase dell’anguilla. Gettata la borsa, le chiavi, le rose per terra, si tuffa sul divano e prende il suo cuscino preferito:  quello nero – ovvio – di velluto,  con nappe d’oro, morbido come un peluche. Lo stringe con forza sulla pancia come per comprimere la rabbia o  semplicemente la voglia matta di urlare. Si gira di scatto e guarda le rose baccarat sul pavimento con odio profondo. Ecco. Ora, lontana dallo sguardo invadente del cameriere, potrebbe distruggerle pezzetto per pezzetto oppure semplicemente andarci sopra con plateau e tacchi per sentir crocchiare le spine….
Povere rose: che colpa hanno loro se il mondo è fatto di uomini (molti) che hanno la delicatezza di una ruspa nel cantiere? L’uomo è uomo. Cioè le ruspe sono ruspe: non possiamo pretendere che si trasformino in delicate e armoniose farfalle.
E persa in questa meraviglia di pensieri, sul divano-lettino da psicanalista, la Gatta trascorre qualche minuto. Poi si siede, lascia il cuscino, si alza, sistema le rose in un vaso di vetro (mette anche l’acqua, tranquilli…). Infine, si lava via il trucco dal viso ed esce sul piccolo balcone per controllare l’arrivo delle amiche. Una lacrima le esce dall’incavo interno tra occhio destro e naso, le bagna delicatamente  il viso fino all’angolo della bocca. Una lacrima inaspettata, un po’ invadente. Solo una lacrima però. Una basta e avanza. Ed è una lacrima di rabbia, non di dolore. Dolore? Dolore di che? Non è successa alcuna tragedia!
La Gatta è un po’ strana, ma sa bene che i dolori della vita sono altri:  le sue lacrime non sono certo sprecabili dietro a un essere che si fa chiamare Duca, che dà buche incredibili ad una brava ragazza e che le fa pure consegnare rose rosse da un cartone animato con il naso a patata e le trecce gialle!


martedì 4 ottobre 2011

La Gatta © by Barbara Giorgi - 7 capitolo


7.  ROSE   BACCARAT.…


Gli “appuntamenti al buio” sono sempre un dilemma, perché ovviamente non sai mai chi può capitarti davanti: quello biondo-bello-stupido che si controlla il bicipite ogni due secondi e lo accarezza pure con profonda auto-ammirazione, quello che parla ininterrottamente delle doti culinarie della mamma che fa le lasagne come nessuno mai ha saputo e saprà fare su tutto il globo terrestre, quello distratto che controlla incessantemente se ci sono sms o messaggi vocali nella segreteria telefonica, quello della serie “polizia scientifica” che ti fissa e analizza ogni tuo neo, capello, sospiro, gesto, parola e ti fa sentire a disagio come un’infiltrata a un matrimonio. E poi c’è quello – meraviglia del creato – che parla solo di calcio perché la sua massa cerebrale si è fusa completamente ed è diventata un pallone di plastica. E crede pure con serena convinzione che a te possa interessare nel dettaglio ogni “azione“ dell’ultima partita della sua amatissima squadra, con eventuali virate dialettiche verso altri sport interessanti, dal nuoto sincronizzato alla gara di corsa dei conigli nani….
Quando il buon Dio creò l’homme lo fece completo: solo che la completezza si ha quando ne raduniamo un centinaio e più tutti insieme… allora qualcosa di buono può anche saltar fuori! Ovviamente, c’è l’eccezione: quella in cui spera ciascuna di noi. Il bravo ragazzo, con aria un po’ disgraziata da artista incompreso, bello quel tanto che basta per farci sospirare ogni tanto, dotato di due caratteristiche tassativamente irrinunciabili (per noi): intelligenza e simpatia. Questo modello di uomo è fabbricato ogni milione di esemplari, per cui è un po’ difficile da individuare, ma qualche fortunata ragazza ci riesce.
E’ come giocare al lotto: bisogna provare, con moderazione però. La ragazza intelligente non va a caccia “a tappeto”, non spara cartucce a chiunque in modo sconsiderato: la ragazza intelligente (e furba) studia sempre la preda, le sue caratteristiche naturali, i suoi movimenti, senza farsene accorgere, come una cacciatrice esperta nella savana. E all’occorrenza… agisce. Non spreca fiato, sudore, tempo, in modo inutile. E se poi dopo la cattura, la preda si rivela una delusione…. pazienza (fino ad un certo punto). La ragazza tosta ricomincia, senza perdere la speranza: l’amore può sempre essere nascosto nel prossimo incontro. Nel frattempo, mai abbattersi o avvilirsi, mai dimenticare le proprie potenzialità, mai andare in giro come una sciatta rappresentate del mondo femminile: anzi! E’ qui che il tacco dodici deve necessariamente supportare l’ego!

Tutto questo la Gatta lo sa bene. Potrebbe tenere lezioni in merito all’argomento: una coach dell’appuntamento… Quello della Gatta però non è proprio un “appuntamento al buio”, perché lei – anche se solo vagamente – ricorda quel tipo, il “Duca”. Ma questo ricordo è in verità molto confuso nella sua memoria. No, non aveva bevuto alcolici, non ne beve mai. Ma  la prima volta, alla festa, l’aveva visto da lontano. Chissà dunque che tipo sarà…
Comunque, inutile continuare a riflettere, ora si deve passare all’azione: parcheggio (non sono ammesse risatine sarcastiche.…), falcata veloce verso il bar, per poi rallentare improvvisamente,  nel tragitto finale in stretta prossimità dell’ingresso. Calma. Savoir faire…
La Gatta entra, si guarda intorno, ma non vede figure maschili che potrebbero essere ricondotte al “Duca”. Seduti ai vari tavolini, ci sono due amici che ridono come matti, c’è una coppia di ragazzini (tubano come colombi innamorati), c’è un  anziano signore che sorseggia il suo caffè mentre legge con attenzione un quotidiano attraverso un paio di occhiali di tartaruga. Al bancone tre ragazze firmatissime, molto fiere del loro look metropolitano, ordinano croissants e cappuccino.
La Gatta si siede ad un tavolino accanto alla grande vetrata con vista sulla piazza: su un sasso bianco  levigato, appoggiato sopra il piano, c’è inciso il numero del tavolo.  Numero tredici: “Iniziamo bene… il tredici porta fortuna…è un segno del destino: andrà tutto in modo perfetto!”.
Un sospirone e il suo sguardo saetta al di fuori della parete di vetro, si perde nella piazza dove le persone camminano svelte come formiche indaffarate. Colori di vestiti, colori di palazzi, colore del cielo: la Gatta si tuffa in quella tavolozza di colori e si assenta dal mondo, dal bar, dal tavolino,  dal sasso e dal numero tredici, perdendosi in un vuoto di pensieri…
“Salve bella signorina sola… cosa posso portarle?” Il tipo con la camicia bianca e cravattino nero interrompe le sue poetiche assenze terrene. Cosa ha detto? “bella-signorina-sola”….?
Il sistema cerebrale, molto speedy, della Gatta analizza subito i termini: bella  e sola! Questo ci prova: perché sennò sottolineare questi due aspetti? Verrebbe da dire “gatta ci cova”, ma qui a covare è piuttosto il cameriere….
“La bella signorina non è sola…cioè è sola limitatamente a questo momento…perché sta aspettando il suo fidanzato” e con una cascata impetuosa di parole continua “E il fidanzato sta arrivando! Per ora non ordino, grazie!”
Eh? Cosa le salta in mente? Ma cosa sta dicendo? Da notare che sta parlando in terza persona come per prendere le distanze da tutte le assurdità che le escono di bocca…
“Scusi…." bisbiglia il ragazzo in cravattino, mentre si allontana stupito di tanta aggressività verbale.
La Gatta ritorna ad osservare la vetrata, le persone-formiche, la tavolozza di colori. Si immerge ancora nei suoi pensieri-non pensieri e … sbadiglia. Magari un caffè ora ci vorrebbe. No, meglio aspettare.
E la Gatta aspetta. Trascorrono dieci minuti. Poi altri dieci. La Gatta guarda l’orologio a catena appeso ai suoi jeans, a forma di cuore con brillantini. Infantile, ma carino. E l’orologio comunica che ora, considerando il momento del suo ingresso nel bar, sono passati trenta minuti, cioè mezz’ora, cioè un’esagerazione di secondi. Ma lei continua ad aspettare. Decide di ordinare un caffè. Il cameriere di prima prende l’ordine senza fiatare e in pochi secondi arriva la sua bella tazzina. La Gatta beve, mentre  si rende conto che una certa rabbia sta percorrendo le sue vene, le sue arterie, tutti i suoi nervi …. La caffeina non c’entra: l’effetto scarica elettrica è dato dalla “buca” dell’appuntamento. Si alza improvvisamente. Ora sono trascorsi tre quarti d’ora! Un’eternità! Mentre paga il caffè, cercando di comprimere le esplosioni che vagano per il suo corpo, nel bar entra una ragazzetta bionda con le trecce infiocchettate, un viso di efelidi, naso a patata e una divisa di cotone a righine rosa. La ragazzetta ha in mano un mazzo di rose, con gambo lungo, color  rosso sangue. Rose baccarat. La ragazzetta urla: “C’è una certa signorina.… mah… detta Gatta?” La nostra amica si gira di colpo e osserva quella tipetta da cartone animato. “Sono io!” taglia corto. La ragazzetta le consegna velocemente il mazzo di rose e se ne torna nel mondo dei cartoni animati da dove probabilmente è uscita per sbaglio.
C’è un biglietto appuntato sulla carta che avvolge le rose: “Sorry. Mi farò vivo presto. Perdonami. Duca."
La reazione più umana e comprensibile potrebbe essere quella di lasciare le rose nel bar, magari gettandole  con gesto plateale dentro un cestino dell’immondizia. Ma la Gatta incrocia la sguardo ironico del cameriere che, ovviamente, sta attendendo di consumare la sua vendetta. No! Questa soddisfazione non può dargliela. Quindi  annusa le rose con calma, sorride ai fiori con beata serenità ed infine ricambia lo sguardo del ragazzo con sicurezza… “pupilla nella pupilla”… come nonna ha insegnato. Ed esce da quel luogo di tortura, da quel girone dell’inferno dove si augura di non mettere mai più piede.
Appena salita in macchina, scrive un sms: “Help! Venite a casa mia! Ora, subito!”
E invia al nome “Luna”. Ma la richiesta di aiuto è al plurale: coinvolge sia Luna che Orchidea, entrambe, come sempre.
Luna e Orchidea: le sue ancore di salvezza. Le due amiche del cuore, dell’anima, delle crisi e delle felicità immense. Le due pazzerelle senza le quali la Gatta non sarebbe la Gatta….

sabato 1 ottobre 2011

La Gatta © by Barbara Giorgi - 6 capitolo


6. TRA  SOGNO E  REALTA’


Sognare è un’attività della psiche a cui sarebbe impossibile rinunciare, anche  volendo. Freud insegna.
Ma probabilmente, nessun essere umano vorrebbe rinunciare al sogno, al rifugio segreto della nostra mente, a quello spazio indefinito di colori, luoghi, visi, ricordi o nuovi cortometraggi che viviamo nel silenzio della notte. Certo, non sempre i sogni sono belli… ma anche da quelli più inquietanti, i cosiddetti incubi, possiamo apprendere qualcosa in più di noi, della nostra parte celata.
La nostra amica ama sognare e al mattino ricorda sempre tutto quello che l’inconscio le ha somministrato, dettaglio per dettaglio: analizza e soppesa, come un’acerba seguace di Freud, dando un valore ed un significato simbolico ad ogni piccolo elemento. E’ come un gioco mattutino che l’aiuta a riprendere contatto con se stessa. Da fare tassativamente a letto, quando ancora dobbiamo focalizzare per bene che giorno è, che ora è (la sveglia la guardiamo dopo qualche secondo), cosa dobbiamo fare in giornata.
Anche stanotte la Gatta ha sognato: sequenze di colori e luci che accompagnavano una figura alta, snella ma imponente, con un lungo abito di seta bianco e una cascata di collane d’oro al collo. Il viso non si vedeva, ma lei ha potuto identificare la figura dall’acconciatura dei lunghi capelli bianchi: uno chignon alto ed elaborato, con ciocche cadenti lungo il viso. Non solo: abito e collane sono proprio quelli della bella signora del quadro appeso vicino alla porta di ingresso della mansarda. Un autoritratto. La donna del sogno era certamente Ginevra, nobile di casato e di cuore, grande artista (pittrice e scultrice) e nonna…   alternativa. Già, la nonna paterna della Gatta, ex proprietaria della mansarda, del fondo e del lampadario a gocce: “una nonna … come ce ne vorrebbero” pensa “ma di nonne così, non ne fanno più..”. Ma analizzare il sogno sulla nonna è abbastanza inutile: l’anziana signora le ha fatto una visitina perché lei sente la sua mancanza. Semplice, chiaro come una giornata di sole. Ma triste come le nuvole di un cielo grigio invernale. Oppure come il mare d’inverno, quando rabbrividisci solo a guardare l’acqua e la sabbia, al tatto,  è polvere di ghiaccio.
C’è un taglio nella sua corazza che lei non riesce a chiudere, a saldare. Un conto in sospeso con la vita: lei, gatto randagio senza genitori, ora è un gatto randagio senza neppure nonna Ginevra. “Ma no, lei c’è … in ogni cosa che mi circonda, in ogni cosa che faccio!”.
Certa e soddisfatta di questa affermazione rincuorante, riesce a mettere i piedi giù dal letto per dirigersi sbadigliando, ma senza indugio, verso la sua amata macchinetta del caffè espresso. Il caffè! Come potremmo vivere senza? E lasciato il pensiero della nonna per ovvi motivi di sopravvivenza, la Gatta si immerge in un’ode silenziosa ed intima alla polvere nera, annusandola lentamente, come per inalare poteri magici: “ o caffè, delizia degli dei e degli eroi, droga dei mortali, frutto di madre terra…”
Mentre beve l’amato liquido nero, ecco che, come un flash, rivede la scena del giorno prima, a quella medesima ora: la telefonata del tipo! “Accipicchia o…accidempolina - questi sono termini che uso per non ripetere le sue reali esclamazioni - devo prepararmi per quell’appuntamento! “
Crisi profonda di una ragazza per bene, ad un’ora indefinita del mattino: il vestito! Si precipita nella cabina-armadio (che poi è una stanza dipinta di nero-oro con aste porta abiti e mensole stracolme di scarpe). Come un generale che passa in rassegna le truppe, con occhio severo ed esperto, lei guarda, analizza, cataloga, elimina, sceglie in due minuti esatti. Scelta “impegnativa”: jeans e camicetta bianca. Un passe-par-tout, sentenzia convinta, senza possibilità di appelli. Però ora c’è il problema scarpa: ballerina, sportiva, con tacco… Mah… una ragazza può indossare qualsiasi cosa (o quasi) ad un primo appuntamento, ma la scarpa, tassativamente deve essere con tacco dodici (minimo). Perché l’uomo va guardato dritto negli occhi: lo sguardo abbassato da povera timida senza carattere non va bene. Ci vuole fierezza. Eh sì, anche questo è un principio di vita insegnato dalla nonna. ”Pupilla nella pupilla” le diceva la nonna, riferendosi alla regola-necessità di guardare sempre qualsiasi interlocutore, uomo o donna, dritto negli occhi. E aggiungeva:  “si abbassa lo sguardo solo se si ha qualcosa da nascondere oppure se si vuole attestare  la superiorità di qualcuno, come fa l’etologo quando incontra un gorilla…”. Eh già, la nonna sì che sapeva parlare: due lauree e qualche quintale di libri letti durante una vita brillante, in giro per il mondo.
Ma la Gatta torna alla supervisione delle shoes tacco dodici. Nere. No, beige. No, in camoscio color lilla, perfette con il colore chiaro dei jeans. Le ultime acquistate con i saldi. Fatto! Dopo un trucco veloce con mascara e lucidalabbra, via…. Si parte per il  braccio di ferro:   “Oh mamma! Se lo definisco già così… sarà proprio un bell’incontro”. Ma ormai,  è già nella quattroruote con farfalle, in volo verso il suo appuntamento.