La Gatta, una favola moderna .....

LA GATTA, UNA FAVOLA MODERNA


La Gatta vi dà il benvenuto....

La Gatta potrà essere la vostra amica virtuale nei giorni di pioggia, nei momenti di solitudine...

La Gatta proverà a farvi sorridere con le sue stranezze, con le sue piccole follie...


Potete comunicare con la Gatta, inviando mail a: lagattabybarbara@gmail.com

L'indice dei singoli Capitoli è nell'Archivio in fondo alla pagina blog.... lì troverete anche i primi Capitoli....

Buona lettura :)



lunedì 23 aprile 2012

La Gatta © by Barbara Giorgi - 27 capitolo


27.   MARCO  POLO 



Le certezze assolute, le situazioni definite, le risposte chiare e limpide fanno male alla salute. E’ risaputo. Perché non lasciano spazi a vie di fuga, sgomitate, sorpassi e deviazioni repentine.
Per cui, oggi più che mai, va di moda la “filosofia dell’altalena”, sostenuta ed applicata da coloro che ponderano, valutano, soppesano, dicono “ni”, stanno un po’ qua e un po’ là: in politica,  al lavoro, al bar durante il pokerino.
Ma anche dal parrucchiere, durante la difficile operazione dei colpi di luce: non troppo chiari, ma non troppo scuri, più di luna che di sole, più di penombra che di raggio pieno.
E in mezzo a tante altalene ci sono quelli che invece pensano e agiscono con l’agilità e la convinzione di un gatto randagio a caccia di topi.
A proposito di gatti. Già.


La Gatta adesso non sta cacciando, ma sta pianificando le sue imprese future. Congedato il buon Leo, adesso è di nuovo seduta sola soletta alla sua scrivania, con quel foglio di quaderno in mano. Sembra osservare un’opera d’arte di inestimabile valore. Invece è solo un pezzo di carta macchiato d’inchiostro, strappato sui bordi, con la scritta di un nome: “Cavaliere Grand’Ufficiale Commendatore Marco Polo”. E c’è pure l’indirizzo: “Quartiere Cinese, Via Pechino, numero 1”.
“Questo nome è certamente uno scherzo di Mister Formica oppure…. qui gatta ci cova! Se non ricordo male, Marco Polo fu un mercante veneziano del tredicesimo secolo, famoso per il suo viaggio in Cina, fino alla corte del   Gran Kahn. Se il nome sul foglietto corrisponde a verità, questo tipo deve essere un matto patentato e certificato allo stato puro! Altrimenti, come fa a chiamarsi così? E si è pure trovato una casa nel Quartiere Cinese!”
La Gatta è molto soddisfatta della sua analisi storica del nome. Mica patatine fritte: tutta cultura allo stato puro! Ora però, dopo cotanta spremitura di neuroni, che fare? Dato per scontato che Mister Formica non ha tutti i lunedì (e neppure gli altri giorni della settimana) e dato per scontato che anche questo Marco Polo probabilmente ha qualche problema di identità e autoconsapevolezza…. come procedere?
Il consiglio di Dea l’illuminata era quello di valutare per bene ogni indizio che  la nonna avrebbe posto sul cammino. Ma qui, dopo aver sospettato una sana follia di tale Marco Polo, rimane ben poco da fare. E quel ben poco, probabilmente è una verifica di persona.
“Qui c’è da toccare con mano! Devo conoscere il matto! Se può darmi informazioni sugli autoritratti della nonna, bene. Altrimenti, vorrà dire che avrò perso solo un po’ di tempo!” e la Gatta, ulteriormente soddisfatta per aver raggiunto una decisione epocale tutta da sola, senza neppure l’aiuto delle amiche, decide che quello è il giorno giusto per una nuova avventura. Da sola. E senza filosofia dell’altalena.
“Da sola? Magari con Lunadea….” un piccolo dubbio nella mente produttiva della Gatta fa scattare la ricerca del cellulare nella borsa da Mary Poppins. Trovato l’arnese, inviato sms, la Gatta chiude lo studio e si avvia verso il Quartiere Cinese. Le amiche la raggiungeranno là. Si spera.


Il nostro Marco Polo aveva deciso di adottare, tanti anni prima, questo nome leggermente altisonante al posto del suo (ormai finito nel dimenticatoio e ricordato solo da qualche documento personale). Viaggiatore “on the road”, mercante d’arte, affarista indefinito e non meglio identificato, amante del bello quanto della pecunia. Un soggetto bislacco, molto arguto, molto sagace. Senza scrupoli, più o meno.
Da giovane, aveva fatto fortuna  grazie a compravendite  d’oro, pietre preziose e avorio con una rete di traffici con l’Asia. Aveva anche trascorso qualche mese in prigioni non proprio accoglienti, qua e là, nel suddetto continente. Esperienze alquanto edificanti. Ma ogni volta, aveva ricominciato indenne le sue attività appaganti (soprattutto paganti).
Dopo aver viaggiato tanto in gioventù, adesso preferiva non uscire mai dalla sua casa-museo, stracolma di oggetti preziosi. Tra i pezzi più prestigiosi: una statua di giada del Buddha grande come un letto matrimoniale, una zanna di elefante tempestata di zaffiri e perle proveniente da Sumatra (e, poverelli, gli elefanti dell’isola sono oggi a rischio d’estinzione),  una testa di tigre reale del Bengala, imbalsamata, con incastonati occhi di rubino, appesa ad una parete del salone (inquietante).
Bel tipo questo Marco Polo: conosceva dialetti e pseudo-linguaggi asiatici, riti magici e religiosi, rituali propiziatori, ricette medicamentose e pure culinarie. Era amico di molti santoni che gli avevano predetto una morte violenta. Ecco perché non usciva mai di casa e guardava con sospetto ogni essere umano che entrava in contatto con lui per qualsivoglia motivo. Pure il postino: non accettava mai la sua penna per firmare le raccomandate. E se l’inchiostro avesse contenuto veleno?
La sua conoscenza antropologica andava oltre quella dei più accreditati studiosi. Così diceva. Perché lui aveva vissuto una vera  “full immersion” in realtà sociali estreme. Nella foresta,  lungo i corsi dei fiumi, nei deserti. Spesso senza cibo, né acqua. E aveva anche apprezzato la carne di serpente e il crocchiare degli scarafaggi sotto i denti. Le termiti no, non gli erano mai piaciute: troppo amarognole.
Nella sua vita sosteneva di aver amato solo una donna. Bellissima. Unica. Forse perché lui sapeva di non essere certo un santo, era attratto da questa donna che sembrava una luce nella sua misera vita. Ma lei non lo aveva mai riamato.
Un amore platonico: aveva sempre guardato quella luce da lontano, sognando ad occhi aperti.


La Gatta adesso è in auto e va zigzagando come un insetto tra quelle scatole vaganti nel traffico.
Parcheggio sudatissimo sotto un pino secolare, dopo un centinaio di manovre calcolate in modo logaritmico. Ed eccola scendere dall’auto per incontrare le amiche che - strano ma vero - sono già lì, davanti al numero civico uno.
“Ho visto la tua manovra, Gatta. Ma come fai a parcheggiare in quel modo assurdo? Ti devo insegnare io che sono un fenomeno!” questo è il saluto di Dea.
Ma la Gatta controbatte subito: “Lascia perdere il parcheggio e ascolta bene. Proprio tu hai detto che la chiave di lettura di tutta la vicenda della nonna è riferibile ai suoi cinque autoritratti. Ebbene, ho qui un foglietto con il nome del tizio che potrebbe darci qualche input in più. Abita qui e si chiama Marco Polo!”
Ora interviene Luna: ”Scusa tesoro, ma con quel nome…. ovvio che sia solo un matto!”
Dea risponde al posto della Gatta, per tutelare e difendere fino in fondo la sua teoria: “Dobbiamo verificare ogni indizio che troviamo sul nostro cammino:  normale o strano che sia. E poi i matti mi piacciono tanto. Li adoro. Odio la normalità: è troppo scontata! Non offre mai alcuna possibilità di andare oltre ciò che è prestabilito, codificato, regolato.”
Adesso la Gatta e Luna guardano Dea con stupore: questa ragazza sta dando delle belle soddisfazioni. Forse sta maturando un po’. Finalmente.
“Bene. Allora provo a citofonare. Buttiamoci senza perdere altro tempo!” sentenzia la Gatta, mentre individua il nominativo sul campanello. E suona.
Trascorrono dei secondi. Non molti. Una voce infastidita risponde: “Chi è che mi disturba?”
Le tre ragazze si guardano, spalancando leggermente gli occhi. Dea scoppia a ridere e risponde: “Caro signore, siamo tre ragazze  molto simpatiche. Abbiamo la macchina in panne e dovremmo chiamare il carro-attrezzi. Non abbiamo alcun cellulare con noi. Potremmo usare il suo telefono?”
La Gatta esplode in un: ”Cosa hai bevuto?” ma non fa in tempo a continuare il suo rimprovero perché la voce al citofono risponde: “Salite. Terzo piano.”
Il portone si apre cigolando e le tre ragazze entrano in un ingresso buio e polveroso. La luce è accesa da una vecchietta che sta chiudendo la porta del suo appartamento a piano terra. Le squadra, le guarda malissimo  e prima di scomparire oltre il portone condominiale esordisce con un: “Vedete di non buttare cicche di sigarette per terra e non fate rumore con i tacchi!”
“Ma noi non fumiamo! E adesso non indossiamo scarpe con i tacchi: abbiamo tutte le ballerine!” sbotta la Gatta “Iniziamo bene. Questo palazzo è tutto un manicomio!”
Le tre ragazze salgono le scale in punta di piedi, cercando di non fare rumore neppure con le ballerine. Dea tossisce e teme che qualcuno possa sgridarla.
Al terzo piano, c’è un’unica porta di ingresso, socchiusa. Luna bussa timidamente. Una voce baritonale le invita ad entrare.
Il Buddha di giada troneggia nel salone. Ai suoi piedi, sopra un cuscino di damasco color oro, c’è uno strano individuo vestito come un esploratore anni venti, con una divisa color kaki di cotone, stivaloni di cuoio e foulard al collo. Cappello ad elmetto coordinato all’abito. Avrà più o meno ottant’anni. Porta occhiali e ha un bel paio di mustacchi modello Francesco Giuseppe imperatore d’Austria.
“Ebbene donzelle?” chiede l’individuo padrone di casa.
“Ebbene….” Tutte e tre sussurrano quella parola. Tutte e tre non sanno cosa dire. Tutte e tre sono immobili come la statua del Buddha.
Ma Dea ad un tratto caccia un urlo disumano. La tigre appesa alla parete ha un sussulto e i rubini degli occhi sfavillano e non promettono nulla di buono.
“Nonna Ginevra!” Dea indica il quadro sotto la testa della tigre.
Le tre ragazze si catapultano verso l’animale imbalsamato che le guarda malissimo. E non degnano di uno sguardo il mercante, ancora accovacciato sotto il Buddha.
Dea, sbalordita, commenta il dipinto: “La nonna è senza vestiti! Praticamente è nuda!”
Luna le dà un pizzicotto al braccio e la Gatta la corregge: “Dea! Svegliati! Questa non è nonna Ginevra! E’ una copia della Venere del Botticelli. Un falso!”
“Sì, un falso d’autore di grande valore… - il mercante interviene nella discussione mentre si avvicina al quadro – “E ora, carissime pulzelle, potreste finalmente dirmi cosa volete da me? La verità sarebbe un gradito regalo!”
La Gatta lo guarda dritto negli occhi. Vorrebbe raccontare tutto e perdersi in un fiume di parole. Ma dalla bocca proprio non le esce neppure una vocale. Questo è un momento di panico allo stato puro.