La Gatta, una favola moderna .....

LA GATTA, UNA FAVOLA MODERNA


La Gatta vi dà il benvenuto....

La Gatta potrà essere la vostra amica virtuale nei giorni di pioggia, nei momenti di solitudine...

La Gatta proverà a farvi sorridere con le sue stranezze, con le sue piccole follie...


Potete comunicare con la Gatta, inviando mail a: lagattabybarbara@gmail.com

L'indice dei singoli Capitoli è nell'Archivio in fondo alla pagina blog.... lì troverete anche i primi Capitoli....

Buona lettura :)



lunedì 30 gennaio 2012

La Gatta © by Barbara Giorgi - 21 capitolo

21.   I  CINQUE   AUTORITRATTI


Non sempre è positivo ottenere risposte nette e precise alle domande che ci poniamo.  A volte è meglio rimanere nel dubbio, nell’incertezza, nel limbo delle possibilità: in tal modo, ci riserviamo ancora il diritto di ipotizzare soluzioni positive e di dondolarci tra possibilità allettanti. Ma non tutti la pensano così. Ci sono persone che vivono tassativamente con principi di vita della serie qui e adesso, ora o mai più….
La Gatta è l’esempio vivente della filosofia del carpe diem. Sì, perché lei afferra e vive con intensità il giorno, il momento, la vita: non conosce mezze misure, non è diplomatica e paziente, non tollera le attese (neppure quelle delle segreterie telefoniche), non ama l’incertezza, le incognite, i “ni” (diffusissimo e moderno ibrido tra “no” e “si”). Certo, ama sognare e fantasticare, ma quando si tratta di gestire situazioni reali e quotidiane, lei vuol camminare ben aderente al suolo, con il suo passo da felino predatore. Un passo sempre silenzioso, leggero, attento, prima lento, poi veloce. Lei è fatta così: un animale selvatico che agisce d’istinto.

Alle dieci del mattino, la lunga chiacchierata con il professor Astrolabio termina all’improvviso, a causa della fuga inopportuna di Orione dalla sua teca, dimenticata semiaperta dal padrone di casa. Il povero pitone reale è davvero stufo di dover rimanere dentro quella bara di vetro, mentre tutti possono liberamente muoversi per casa. Dov’è finito il principio di uguaglianza in natura? “Sempre che sia esistito”  pensa il pitone mentre girella lentamente per la sala, soddisfatto di quella opportunità di perlustrazione. Ma la vista del pitone vagante fa desistere la Gatta dall’ottenere un feedback utile e costruttivo dal professore: per lei il colloquio ora può anche terminare. Meglio avere dubbi su fantasmi che la certezza di un contatto ravvicinato con un  serpente.
Così, dopo aver deciso che la giornata dovrà essere molto produttiva, esce velocemente dal palazzo. Beve un secondo caffè al bar del quartiere, dopo quello bevuto con il professore: andare in quel bar le scalda l’anima, perché i ragazzi che ci lavorano sono sempre allegri e sorridenti. Mentre si muovono veloci tra tazzine, bicchieri e croissants, raccontano barzellette e scherzano con i vecchi clienti. Il clima è disteso e sereno: è quello che le serve adesso per darle un po’ di carica.
Lasciato il bar, guarda per qualche secondo la sua piccola auto parcheggiata sotto casa. Perché muoverla da lì? C’è uno splendido sole che emana raggi seducenti, caldi, avvolgenti. E allora è il momento giusto per camminare un po’, per immergersi tra la gente, tra quelle anime indaffarate e veloci.
La Gatta esce quindi dal quartiere  e inizia a camminare, zigzagando tra le persone, come una zanzara a caccia di prede. Per la strada, sente odori di sigarette, di benzina, di polvere, di sudore. Ascolta rumori di motori, di voci, di clacsons, di tacchi sull’asfalto. Vede bambini saltellanti, donne con i sacchi della spesa e donne in tailleur grigio e ventiquattrore griffata, uomini con tute sporche di lavoro e uomini impiccati in cravattoni a righe, rigidi come marionette. E pensa quanto sia  meraviglioso e vario il mondo.
Dopo che la sua attenzione è catturata dal tamponamento tra due biciclette (ma come faranno a tamponarsi due biciclette?) e dalla litigata tra un camionista modello Hulk e una centaura in tuta di pelle nera, ecco fatto…. arrivata. Già, ma dove? Come mai è lì?
Con la mente immersa in tutti quei  rumori, invece di dirigersi verso il suo studio, ha camminato dritta verso il palazzo Malasorte. E ora è nella piazza davanti al gigantesco portone chiodato, con la civetta che lo sovrasta dall’alto dello stemma di famiglia.  Che fare? Ovvio: una bella suonata al campanello.
Del resto, visto che è lì, potrà iniziare a riflettere sul design della stanza del pargoletto, come da incarico conferito dal Conte. E finalmente potrà lavorare senza la presenza ingombrante dello stilista Leo: bravo ragazzo, ma invadente come l’erba gramigna! Sì, la Gatta vuole un mondo di bene a Leo, ma in certi momenti è meglio tenerlo a debita distanza.
La Gatta suona quindi il campanello: il solito omone si palesa, con un’aria infastidita e poco rassicurante. La guarda: sembra in procinto di farle una radiografia. In dieci secondi esatti la squadra da testa a piedi, poi la fissa ben bene negli occhi. Infine, parla: “Desidera?”
“Buondì, buongiorno, salve….” e mentre parla, la Gatta pensa che almeno uno di quei saluti andrà pure bene a quell’essere inquietante.
“Desidera?” ripete con voce spazientita quella montagna umana, quasi sbuffando un po’.
“Ecco…. desidero…. cioè….” la Gatta farfuglia qualcosa, ma poi stizzita, inizia a tirar fuori i suoi begli artigli “Sono stata incaricata dal Conte per un lavoro di design interno al palazzo. E ora sono qui per procedere! Quindi desidero entrare!”
Mentre l’uomo-pinguino la guarda un po’ stupito, lei è tutta soddisfatta: pensa che sia una gran cosa avere un bel caratterino e usarlo!
L’essere si fa da parte, la fa entrare e, stranamente, non le fa neppure strada: chiuso il portone cigolante, si gira sui tacchi e sparisce tra le piante della corte interna.
“L’orco è tornato nel bosco ed io entro nella casa del diavoletto” pensa la Gatta mentre si dirige svelta verso la scalinata di marmo.
Sale i gradini e intanto osserva con rispetto quelle mura antiche, coperte in gran parte da arazzi di seta e velluto. Arrivata sul pianerottolo, una cameriera le compare davanti, in divisa nera, grembiule e crestina bianca sulla testa (praticamente la versione umana del pappagallo Galileo).
“Attenda qui che l’annuncio al Conte. Si accomodi pure nel salotto degli avi” dice la cameriera, aprendo una porta e facendo strada in un salone stracolmo di quadri e statue di marmo. Non è il salone dove l’hanno fatta attendere la prima volta insieme a Leo. E’ uno dei tanti altri luoghi affascinanti di quel palazzo nobile e antico.
“Ma quante procedure arcaiche, obsolete e…. pure noiose!” pensa la Gatta che, ricordiamocelo sempre, odia le attese.
Trascorrono cinque minuti e nessuno si fa vivo. Si sente in lontananza la voce del piccolo Arcibaldo che protesta contro qualcuno (probabilmente la “tata” tedesca). Poi il silenzio per altri cinque minuti.
“Uffa!” pensa la Gatta, spazientita “questa storia di fare sempre anticamera non la sopporto proprio! Darò un’occhiata a questi tipi appesi alle pareti, tanto per passare il tempo….”
Si alza quindi dalla poltrona stile settecento veneziano e inizia a passeggiare per quel salone,  cercando di trovare un’identità per ogni personaggio rappresentato in quei ritratti antichi.
“Questo deve essere un nonno o un bisnonno militare: ha una miriade di decorazioni e medaglie e ha pure dei baffi incredibili! Secondo me, era anche un po’ antipatico: si vede dagli occhi. Ha lo sguardo di chi vuol sempre comandare. Forse era un generale!” pensa, sicura della sua analisi pittorica.
“Questa damina stile Ottocento è carina! Sembra una bamboletta di porcellana da collezione. Vestito largo e gonfio tipo Cenerentola al ballo, guanti fino al gomito, boccoletti come Arcibaldo…. Secondo me, è un’antenata morta giovane,  che so…. di polmonite fulminante oppure di peste o di colera o di malaria! Ma no, è morta di crepacuore perché il suo amante ha sposato un’altra….” e tutta soddisfatta della fine un po’ più romantica decisa per la damina, la Gatta prosegue il suo giro ispettivo.
Un quadro dopo l’altro, una statua dopo l’altra, trascorrono altri minuti. Il Conte non si vede ancora e neppure una mezza cameriera.
“Ora qui si rasenta la maleducazione, eh? Devo aspettare tutta la mattina inutilmente?”  sbuffa alterata mentre decide che è il momento di andarsene. Attraversando veloce il salone, inciampa in uno dei tanti tappeti orientali. Non cade, ma finisce con un salto contro la parete più vicina.
“Accidenti ai tappeti e a chi li ha inventati!” dice a voce alta, mentre si scosta dal muro e dal quadro contro cui è capitata.
“Ohi! Ho spostato l’antenato! Ora è tutto storto!” la Gatta afferra la grande cornice dorata per riposizionare il ritratto perpendicolarmente al pavimento e…. lo guarda. Guarda quel viso: la sua vista si appanna. Si allontana  un metro. Guarda tutta la figura: un tuffo al cuore. Il sangue sembra viaggiare come un missile nelle sue vene, sembra esplodere in mille fuochi di artificio nelle sue arterie. Si allontana di un altro metro. Quella donna è lei, non ci sono dubbi! Il gelo. Sì, la Gatta sente tanto freddo ora.
“Salve! Vedo che ha fatto la conoscenza di Ginevra, la bellissima donna amata da un mio avo!”  il Conte Malasorte entra nel salone, mandando in frantumi quell’atmosfera congelata.
La Gatta riesce ad emettere solo un “Buongiorno”,  mentre rimane ferma sul tappeto di lana e seta e continua a fissare il quadro.
“Carissima! Noto che questo dipinto ha proprio catturato il suo interesse! Allora le spiego: è uno degli autoritratti che Ginevra, nobildonna e affascinante pittrice, realizzò per alcuni suoi spasimanti. La leggenda narra che Ginevra fosse donna di indubbie qualità morali: essendo sposata, non si concesse mai ad alcuno di loro, ma ricompensò il loro amore con un dipinto che la raffigurava. In ogni autoritratto, lei appare con leggere differenze. Ad esempio l’abito. Qui è azzurro come il mare: perché il mio avo era comandante della marina militare, pluridecorato, eroe di guerra….”   il Conte è orgoglioso di poter fornire notizie così interessanti su un componente del suo albero genealogico.
“E quanti sono questi autoritratti?” chiede la Gatta, meravigliata di non aver mai saputo nulla di questa storia da romanzo rosa.
“Credo che siano cinque. Sì, cinque autoritratti in tutto. Ma gli altri quattro non so dove siano! Orbene carissima” e il nobile ora torna a fatti meno poetici e molto più prosaici “credo che lei sia qui per un ulteriore sopralluogo nella stanza di Arcibaldo. Quindi, proceda pure liberamente. Io devo lasciarla perché parto or ora per la Francia, dove ho un castello di famiglia con problemucci di staticità. La saluto e buon proseguimento!” e il Conte si inchina, le sfiora con i baffetti la mano ed esce velocemente dal salone.
Mentre la Gatta rimane in una fase standby davanti a quel quadro, una vocetta stridula le perfora i timpani: “Nonna Ginevla!  Lacconta le favole di Dlacula!”
La Gatta si gira come una trottola. Dietro di lei, c’è il piccolo Arcibaldo con la solita divisa di velluto nero, i boccoli dorati sudati dopo una corsa, la faccetta impertinente.
“Nonna Ginevra? Ti racconta le favole?” esclama la Gatta allibita. Ma cosa sta dicendo quel tipetto impertinente?
“Sì, sì, sì…. la nonna …. le favole….” e Arcibaldo la guarda da sotto in su, sicuro di sé, mentre indica il quadro e ride come un matto.


domenica 15 gennaio 2012

La Gatta © by Barbara Giorgi - 20 capitolo

20.   A  CACCIA  DI  SPIEGAZIONI….


Alle sette del mattino, la vista di una tazza sporca nell’acquaio può aiutarci a capire che stiamo vivendo una normale realtà quotidiana. Ma se durante la notte, alle tre spaccate, una sveglia gettata nel cassonetto dell’immondizia è ricomparsa all’improvviso nella nostra camera da letto, nella nostra vita, senza chiedere permesso, senza spiegazioni, senza specifico motivo…. non bastano mille tazze sporche per tenerci impegnati con le mani e con la mente.
Già. Una sveglia tutta bella integra, senza ammaccature, colorata, squillante  e vispa più che mai.

La Gatta, trascorsa un’inevitabile notte insonne, cavalcando mille ipotesi più o meno assurde, ora guarda quel marchingegno tondo sul pavimento, ascoltando il tic-tac cadenzato, preciso, incessante. 
I pensieri più strani continuano a popolare la sua mente: “Potrebbe essere un oggetto extraterrestre, ma potrebbe anche essere un oggetto stregato. Chissà dove l’hanno trovato Luna e Dea: forse quelle due matte l’hanno preso in casa della Maga Circe oppure l’hanno acquistato al mercatino delle pulci da un venditore di alambicchi e strumenti magici oppure l’hanno vinto in qualche luna park al gioco del tirassegno da una zingara che fa il malocchio. Caspita! Che ipotesi seducenti. Ma anche molto assurde. Eh già…. come è assurdo pensare ad una sveglia che esce da sola dal cassonetto, si dà una pulitina da bucce di banana e residui di sugo, sale le scale di casa, entra nella mansarda senza avere le chiavi e si piazza sul pavimento in attesa di dare il meglio di sé…. “
Ma quando la mente ormai svolazza come una foglia secca in balia del vento …. continuare a formulare  mille teorie è davvero inutile.
“Forse è meglio lavare la tazza….”  pensa la Gatta,  mentre si alza dal letto e si dirige verso l’acquaio, in cerca della vista rassicurante di quel pezzo di ceramica sporco. Chissà perché, compiere gesti ripetitivi e banali, la tranquillizza e  la rilassa.
Mentre è intenta ad insaponare e strofinare la tazzona, come se fosse un’operazione di decontaminazione post incidente nucleare, il cellulare rosa appoggiato sul tavolo si agita e trema, nel proporre la solita invadente suoneria. Sobbalza su se stesso, un po’ scocciato di dover subire addirittura il pandemonio di una cavalcata di vergini guerriere.
La Gatta condivide la sua pena: “Devo cambiare questa musica spacca-timpani. Le Walkirie mi hanno stancato: sono troppo adrenaliniche! Devo inserire qualcosa di più romantico, tipo la morte del cigno……No! Basta con i morti! Allora anzi il valzer delle candele…. No! Anche con le candele ho chiuso per sempre!”
E intanto prende il cellulare, vede che il chiamante è il Duca e…. stranamente…. decide di rispondere.
“Ciao carissimo ragazzo!” esordisce con una velata gioia (ma solo perché può parlare con un essere umano vivente dopo quella notte da incubo).
“Ciao Gatta! Mi fa piacere che tu sia così di buon umore….” il Duca si sente rassicurato da quel tono di voce zuccherosa. Ed è pure un po’ stupito: la Gatta al caramello è davvero una novità!
“Beh… buon umore non direi! Diciamo piuttosto che  provo ad essere serena! Insomma, sono una gatta sempre a caccia di felicità….  Vabbè. Stop. Rewind. Cosa desideri di bello a quest’ora del mattino?” la Gatta non vuol mai aprire troppe porte - e neppure spiragli - al “nemico”.
“Ricordi che dobbiamo ancora fare pace…. per bene, seriamente? Mi avevi concesso una piccola possibilità di riscatto....” lui tenta il tutto e per tutto in una riga e mezzo di parole sussurrate.
“Va bene. Stasera alle otto mi vieni a prendere e andiamo fuori a cena. Ristorante dieci stelle o giù di lì. Caviale, ostriche, tartufi e cose simili. Camerieri vestiti da pinguino. Posate d’argento. Tovaglie di seta. Oggi devo trattarmi bene. Oppure…. non se ne fa nulla!” sembra un ultimatum e forse lo è davvero. E il bello è che lei odia caviale, ostriche e tartufi: le sembrano cibi assurdi. Anzi. Non le sembrano neppure cibo commestibile, digeribile e metabolizzabile. Vuoi mettere un piatto di lasagne straboccante di besciamella?
“Va benissimo. Prenoto nel ristorante più chic, elegante, trendy, pazzesco di tutta la città e dintorni. Alle otto sono da te, puntuale tipo orologio svizzero!” esordisce lui, contento come un bambino davanti ai regali di Natale.
“Eh noooo! Zitto! Taci! Non parlare di orologi…. né di sveglie…. né di qualsiasi altro aggeggio che possa fare tic-tac! Né ora, né mai!” la Gatta alza la voce per puntualizzare ben bene la cosa.
“Va…. va…. bene…. Scusa!  A stasera….” il Duca saluta e chiude in fretta la telefonata, mentre domanda  a se stesso se la fobia per gli orologi possa essere considerata una grave patologia mentale. Ma questa benedetta ragazza, normale o meno, a lui interessa così com’è.

“Bene. Ho lavato la tazza. Ora vado al bar a fare colazione, così mi distraggo un po’….” pensa la Gatta  mentre si prepara per uscire di casa. Il suo sguardo evita accuratamente la sveglia. Anche perché non vuole essere tentata: le piacerebbe ripetere il gesto del giorno prima, ma incartare quella cosa e gettarla nuovamente nel cassonetto sarebbe  inutile, improduttivo e forse…. pure temerario. Però, però, però…. è possibile far proprio finta di niente, uscire di casa a cuor leggero e affrontare una qualsiasi giornata di lavoro? Eh no! L’ipocrisia con se stessi non può portare molto lontano! Infatti, bella vestita, truccata e profumata, la Gatta esce dalla mansarda e si ferma improvvisamente davanti alla porta del professor Astrolabio. Solo lui può aiutarla a capire. Un Genio è un Genio: qualche spiegazione brillante, intelligente e razionalissima  a  lui verrà in mente! Sennò…. che Genio è?
“Ma chi caspiterina è alle prime luci dell’alba?” farfuglia il professore aprendo la porta, dopo lo scampanellio insistente della Gatta.
“Professore, non è l’alba! Sono le otto! E …. mi scusi…. ma sono costretta a disturbarla perché ho un problema grande come un macigno, come una montagna, come una catena montuosa!” sbotta la Gatta, ansimando e agitando le mani.
“Va bene, tranquilla. Vediamo di scalare tutti questi monti  a suon di piccozza! Entra pure, ma dammi il tempo di svegliarmi per bene. Lo vorresti un bel caffè?” il professore le fa strada verso la cucina, mentre i gatti si muovono lenti e sonnacchiosi tra i suoi piedi. Il pitone Orione, nella teca, guarda malissimo quella bipede invadente: stava sognando un pasto luculliano a base di gatti e pappagalli….
“No, grazie. Anzi, sì grazie. Doppio, triplo. Ma senza zucchero!” la Gatta decide che senza il suo amato caffè nero, la testa non le può funzionare a dovere.
“Tazza piccola, tazza grande, in ceramica, vetro, con o senza piattino?” il Genio la prende un po’ in giro, per farla sorridere.
“Professore!  Non è il momento di frizzi e lazzi! Qui c’è un bel dramma da risolvere al più presto!” la Gatta non è in vena. E non concede spazi allo scherzo. Praticamente, si sente come il naufrago che vede la terraferma. E la sua terraferma, in questo momento, è proprio il professore.
“Tranquilla! Ora ci sediamo e ti ascolto attentamente!” il professore prepara la moka e si accomoda, in attesa del borbottio tanto amato “Intanto, vorrei chiederti scusa per il comportamento di Galileo, durante la seduta spiritica. E’ tutta colpa mia: ho rovinato un momento importante per te!”
“No, professore, non mi chieda scusa. Sappiamo entrambi che la Maga Circe è una falsa medium. O almeno…. il sospetto è forte! E poi Galileo è stato utile: forse la nonna ci ha parlato grazie a lui!” la Gatta sonda il terreno, per verificare l’opinione del professore sull’accaduto.
“Certo! La Maga è falsissima come il suo dannato papiro! E Galileo….beh…. sì…. può essere che la nonna lo abbia utilizzato come “canale” per arrivare fino a te. L’avevo ipotizzato, ricordi? Ma è solo una possibilità….” il professore tenta di rassicurare la Gatta, ma è cosa difficile, visto che non può fornire spiegazioni certe ed attendibili.
“La Maga mi ha maledetto! Ha detto che in casa mia, d’ora in poi, ci saranno spiriti dannati!” la Gatta esplode davanti alla tazzina finalmente colma di caffè.
“Cosa? Ah ah ah…. ma non crederai davvero a quella matta! Suvvia ragazza! Credo che tu sia abbastanza intelligente da comprendere che dopo la figuraccia della parrucca …. per vendetta…. sarebbe stata capace anche di cucinare Galileo allo spiedo come un galletto! Ah ah ah!” E mentre il professore ridacchia a più non posso, il povero pappagallo si agita sul trespolo, un po’ alterato dall’ipotesi dello spiedo e da quelle risate inopportune.
“Sì. Sicuramente è così. Ma il problema che mi ha costretto a disturbarla è un altro! Ben più grave di una falsa maledizione!”  la Gatta vorrebbe aver già raccontato la vicenda della sveglia, perché dover ripercorrere tutto quanto, la fa stare male.
“Perbacco, pergiove e persaturno! Cosa caspita può esserti accaduto di così grave?” il professore inizia a preoccuparsi davvero, soprattutto nel constatare che il viso della ragazza si fa molto serio e pallido.
La Gatta abbassa gli occhi, sospira. Allontana la tazzina di caffè, adesso vuota. Appoggia le mani sul tavolo e le stringe, l’una nell’altra, come per farsi coraggio. E inizia il suo racconto: passo dopo passo, momento dopo momento, parla dell’accaduto. Dalla prima nottata disturbata dalla sveglia impazzita, alla decisione di gettarla nel cassonetto sotto casa, fino alla seconda nottata da incubo con l’inspiegabile ritorno di  quell’orologio sul pavimento accanto al letto….
E il professore ascolta attento, in completo silenzio, senza muovere un pelo della folta barba. Le sopracciglia corrugate, le labbra serrate, le mani appoggiate sulla pancia tonda e prominente, nascosta dalla vestaglia di lana.
Anche i gatti stanno in silenzio, immobili come peluche: probabilmente comprendono la solennità di quel momento. Il pitone è nella teca: non si muove, non ondeggia come sempre. I tre pappagalli sembrano imbalsamati sui loro trespoli, con le creste dritte e i becchi sigillati. Tutto è bloccato e pietrificato come in una fotografia. Forse, anche il tempo sì è fermato e non scorre più.
Si può sentire solo la voce della Gatta che, tra pause e sospiri, srotola parole e parole, con tono sommesso, come se stesse confessando un  grave delitto, per liberarsi l’anima. Ma purtroppo la vittima di quell’assurdo racconto  è  proprio lei….



lunedì 9 gennaio 2012

La Gatta © by Barbara Giorgi - 19 capitolo

19.   A   VOLTE   RITORNANO….


Malefici, anatemi, maledizioni: solo il pronunciare questi termini fa venire un po’ d’ansia. E ricevere una maledizione, ancor di più. Soprattutto se si tratta di una vera maledizione…. o presumibilmente vera. Soprattutto se la maledizione è espressa con modalità eclatanti, solenni. Soprattutto se la maledizione è scagliata da una sedicente Maga, di dubbia moralità, ma con fama certa e comprovata. 
Cosa può fare, cosa può pensare il povero bersaglio di tale promessa nefasta? Può sentirsi solo come Atlante che sorregge il mondo: un bel peso sulle spalle, non c’è che dire!

Ed è proprio così che si sente la Gatta, dopo l’uscita plateale della Maga dalla mansarda e dalla sua vita. Meno male che la Regina Madre e le due amiche condividono con lei questo momento da film dell’occulto. Tipo: la notte dei morti viventi, non entrate in quella casa, demoniache presenze…. e simili.
Le quattro donne sono ferme, in piedi: sembrano bambole di cera. Nessuna riesce a focalizzare le parole idonee per realizzare un discorso sensato. Ma Dea ha sempre qualche guizzo in più nella sua fervida e produttiva testolina biondo oro. E dà il colpo di grazia.
”Gattina bella! Non ti preoccupare: le maledizioni vanno e vengono! Sono come gli amanti: oggi ci sono e domani spariscono! E poi…. che vuoi che sia avere qualche anima in casa: finalmente godrai di un po’ di compagnia! Magari ci giochi pure a briscola! Potrebbe essere divertente!”  Dea sa sempre come definire per bene tutte le situazioni, anche le più critiche.
“Dea! Prova a fingere di essere una persona intelligente e sensata!” Luna scuote il capo, con animo incerto tra la rabbia e la rassegnazione di dover subire la costante presenza di una sorella così alternativa. Prova a tirarle i capelli, nel disperato tentativo di avviare un motore inceppato.
“Ahi! Non mi scompaginare la chioma! Sono stata due ore a passarmi la piastra! E comunque l’idea della briscola è carina. Al limite, se c’è solo uno spirito vagante, può sempre giocarci a scacchi!” Dea insiste.
“Ragazze! Non pensiamo più alle parole di quella matta della Cesira! E’ solo un pochino esaurita! E’ tutta colpa della sua ultima storia d’amore fallita, con uno sceicco ottantenne di Dubai che ha un allegro e nutrito esercito di mogli e concubine…. ”  la Regina Madre chiama la medium con il suo vero nome, per declassarla dalla condizione di maga-fattucchiera “Non dobbiamo preoccuparci di assurde e false maledizioni! Continuiamo a non perdere di vista l’obiettivo della Gatta: contattare l’anima della nonna!”
“Già! Ma non credo che sia più possibile. Non so se la nonna mi ha davvero comunicato qualcosa tramite il pappagallo Galileo, ma stasera non sono più in grado di riflettere bene su questa folle situazione. Forse abbiamo sbagliato a fare la seduta spiritica. Aveva ragione il professor Astrolabio: non si scherza con le anime dei morti!” e la Gatta sospira.
“E chi ha scherzato? Noi eravamo serissime! Io, con grande impegno, ho anche smesso di parlare per almeno mezz’ora, andando contro la mia indole comunicativa. Credo sia la prima volta nella mia vita! E questa è una grave perdita per l’umanità!” Dea protesta.
“Il tuo silenzio è stato un momento indimenticabile ed emozionante: peccato non poter ripetere questa meravigliosa sensazione di pace. Nel caso, i nostri canali uditivi te ne sarebbero eternamente grati!”  e Luna rilancia.
“Hai bevuto soda caustica? Perché sento esalazioni altamente inquinanti e corrosive! Forse è meglio aprire le finestre!” Dea non intende proprio terminare il battibecco.
“Basta ragazze! Non potete litigare sempre e comunque! La Gatta ha bisogno di riposo e tranquillità: quindi, ora la salutiamo e torniamo a casa. Voi due siete troppo su di giri!” così dicendo, la Regina Madre bacia la Gatta, afferra le mani delle figlie e le trascina via, per liberare la casa dalle loro incessanti discussioni.
Le tre donne si fermano sulla porta. Si girano di scatto e sorridono alla Gatta: lei sa bene che in quei sorrisi c’è la certezza di un affetto immenso. Ma in questo momento, forse un pacifico silenzio può aiutarla più di mille parole.

Ora la Gatta è sola. Sola con i suoi “perché”. E’ davvero stanca, ma non può fare a meno di ripensare a quella strana giornata, iniziata con il piccolo fan di Dracula e terminata con medium, papiri,  pappagalli parlanti, maledizioni, proposte di briscole e scacchi con gli spiriti….
“Ma…. dico io…. siamo pazzi? C’è da rimetterci il cervello!” pensa la Gatta scuotendo la testa per cacciar via almeno il ricordo e il timore della maledizione. Però, mentre le altre cose sfumano, le frasi implacabili della Maga non intendono abbandonare la mente. E se ne stanno lì, senza un cenno di addio.
“Ma che valore può avere la maledizione di una falsa maga? Sempre che la maga sia falsa…. perché se fosse una maga vera, di quelle d.o.c., allora anche la maledizione sarebbe verissima…. Ma una che si fa chiamare Maga Circe può essere una vera maga?” la Gatta prova a ragionare, ma i pensieri si accavallano, si sovrappongono, si sbriciolano, come gli strati sottili e friabili di una millefoglie. Solo che qui, non c’è la ricompensa della crema. Rimane in bocca una sensazione amarognola, poco piacevole: sembra il sapore dell’olio di fegato di merluzzo.
“Caspita! Per tutti i gatti randagi! Ma sono le due di notte! Passate! E domani devo lavorare! Ora mi preparo e vado a nanna….” la Gatta si stira come un bravo felino e sbadiglia. Forse ha un po’ di fame, ma le basteranno due biscotti e un po’ di latte caldo, perché la stanchezza non le permetterebbe certo di cucinare un piatto decente (anche se due spaghetti la ispirerebbero molto….).
Seduta a quello stesso tavolo che Dea voleva devastare con una sega (e il tavolo adesso si sente molto più tranquillo), ora la Gatta si concentra solo su quella bella tazza di latte fumante, dove i biscotti galleggiano e poi affondano, come silenziose barchette di carta. Una tazzona con cartoons dipinti che le sorridono allegramente. Biscotti di pasta frolla con granella di zucchero. Il palato e la mente ringraziano.
“Cosa c’è di meglio al mondo dei biscotti inzuppati nel latte?” pensa la Gatta, mentre il suo subconscio le continua a proporre l’alternativa degli spaghetti “Vabbè…. Ora ne ho mangiati anche troppi…. Lavo per bene la tazza e vado a letto come una brava bambina….” dice a voce alta, mentre abbandona la tazza sporca nell’acquaio, tra mille sbadigli. La stanchezza vince sulle buone intenzioni.
Sotto il piumone, non fa in tempo a contare fino a una-due-tre-quattro pecorelle, che cade in un sonno profondo. Del resto, sono le tre di notte, meno dieci minuti. Appunto: dieci minuti di sonno profondo e poi …. tic tac…. tic tac…. Improvvisamente un suono di sveglia fortissimo, acuto, prepotente…. inonda la stanza. Adesso sono le tre. Le tre spaccate, precise, nette.
“Aiutooooo! Cosa c’è? Chi è? Dove sono?” urla la Gatta, accendendo la luce.
Il suono continua: un bel “drinnnnnn”  da cento e più decibel che colpisce i timpani come una mitragliata durante un’incursione notturna in campo nemico.
La Gatta si gira di scatto verso quel preciso punto del pavimento dove lei per un anno ha sempre lasciato in bella vista il grande, enorme, ingombrante orologio-sveglia regalato da Luna e Dea: quello con lo gnomo antipatico che lei ha gettato nel bidone dell’immondizia, ben incartato. La Gatta guarda….  ma sembra non vedere, come se la sua mente rifiutasse quella realtà. Perché non è una realtà facilmente spiegabile. Perché non è una realtà facilmente accettabile. Perché non le sembra neppure realtà! Come può essere? No, no, no…. Lo gnomo dentro la sveglia, la sveglia intorno allo gnomo. Insomma: sono lì entrambi. La sveglia e lo gnomo sono sul pavimento. E non nel bidone dell’immondizia…. o alla discarica pubblica…. o in qualsiasi altro luogo a ciò deputato….
Con l’ultima, piccolissima,  infinitesimale briciola di coraggio rimasta, la Gatta sposta la suoneria sull’off. La sua bocca è priva di salivazione, con i denti che battono come se avesse un febbrone da cavallo. I suoi occhi terrorizzati  tentano di focalizzare per bene quell’aggeggio infernale.
Dopo qualche attimo di profondo e completo stato catatonico, decide di muoversi: si accuccia vicino alla sveglia. La fissa. Si avvicina con la testa, si allontana. Controlla il lato destro, poi quello sinistro. E’ proprio una gatta che fiuta il nemico.
Con la punta delle mani la sfiora: c’è davvero. Sente il freddo del metallo sui polpastrelli. Non è un sogno, non è un incubo. E’ la realtà. Quel marchingegno è proprio lì, sul pavimento: lo vede, ne sente la consistenza, ne ascolta il tic-tac. E lo gnomo se ne sta comodamente dentro, ben piazzato tra le ore, con il suo solito ghigno, il cappellaccio e la lunga barba bianca.
“Forse sono in un mondo parallelo….” ipotizza, tanto per darsi una minima spiegazione “forse la maledizione della Maga mi ha catapultato in un’altra dimensione….”
Ma la realtà delle cose deve riuscire a riprendere il suo giusto ruolo e valore. E’ necessario tornare con i piedi per terra. Ora, adesso, subito, immediatamente.
“No! Io sono qui, nella mia casa, viva e vegeta nel mondo reale! C’è una spiegazione logica per tutto! Questa dannata sveglia è qui perché…. perché…. perché….” Appunto. Perché?
A volte nella vita ci sono “perché” bui come la notte e profondi come un pozzo. Ed è dura quando questi “perché” rimangono sospesi nell’aria come palloncini, per poi volare via, lasciandoci a naso in su….  senza risposte.