La Gatta, una favola moderna .....

LA GATTA, UNA FAVOLA MODERNA


La Gatta vi dà il benvenuto....

La Gatta potrà essere la vostra amica virtuale nei giorni di pioggia, nei momenti di solitudine...

La Gatta proverà a farvi sorridere con le sue stranezze, con le sue piccole follie...


Potete comunicare con la Gatta, inviando mail a: lagattabybarbara@gmail.com

L'indice dei singoli Capitoli è nell'Archivio in fondo alla pagina blog.... lì troverete anche i primi Capitoli....

Buona lettura :)



lunedì 20 febbraio 2012

La Gatta © by Barbara Giorgi - 23 capitolo

23.  OSTRICHE  E  CHAMPAGNE  


Quando noi ragazze, dai quindici ai settant’anni (e oltre) dobbiamo presentarci ad un appuntamento con un “lui”, godiamo più dell’attesa che del momento in sé. E’ come la vigilia di una festa, come un “sabato del villaggio” (scritto da uno che  viveva di frizzi e lazzi…. ).
Ed è proprio in nome e per conto di questo leopardiano principio che noi brave ragazze spendiamo buona parte della nostra esistenza in operazioni di auto-reset,  quando siamo in quella fase di incognita: pur essendo sospese in un limbo di pensieri su ciò che avverrà, riusciamo comunque ad agire con un perfetto susseguirsi di delicatissime operazioni di pronto intervento. Ma a volte tutto questo impegno va a farsi benedire.

Come nel caso della Gatta: dopo la discesa dalla moto-astronave finalmente parcheggiata davanti al ristorante, il suo look  ha effettivamente subito una leggera devastazione. Infatti, la povera ragazza deve affrontare una situazione alquanto bizzarra, tra  srotolamento vestito da sera (ridotto a fisarmonica) e tamponamento fondotinta (ridotto a fonduta). Tanto per menzionare solo due operazioni tra le mille necessarie ad un ritorno alle origini.
Davanti al ristorante, la Gatta vorrebbe abbandonare lì moto e motociclista. Ma poi quest’ultimo si toglie il casco e lei riesce a vedere per la seconda volta due occhi che le sembrano i più belli che un essere umano possa avere. Anche un marziano.
Non  riesce a staccare gli occhi da quel viso e dice a se stessa, mentendo in modo vergognoso: “Discreto….” ma la tachicardia che si ripresenta, insieme ad un leggero volare di farfalle nello stomaco, le trasmettono un messaggio diverso: “Unico….”
Il Duca ora le sorride e le prende delicatamente le mani: “Sono felice di essere qui con te….” dice con un tono sommesso e la voce profonda di un doppiatore di film hollywoodiani.
“Ahi….” pensa la Gatta, sentendo che le sue difese, gli artigli, la corazza, la fortezza, le mura merlate del castello, il ponte levatoio…. tutto sta cedendo! E allora usa l’ultima barriera che le resta, l’ultima carta da giocare per creare nuovamente un po’ di distanza tra lei e il pericolo incombente. E in modo alquanto infantile esordisce con un “Ho fame! Che ne dici di entrare?”
Il Duca annuisce, le prende la mano e la accompagna delicatamente verso l’entrata. Entra per primo, come galateo comanda: un po’ vecchiotto come modus operandi, ma pur sempre valido ed apprezzabile.
Il locale appare agli occhi della Gatta come un luogo davvero sublime. Luci soffuse, pareti bianche e nere, tavoli coperti da tovaglie di seta damascata color grigio perla, poltroncine dorate con un grande schienale, rivestite di seta. Composizioni di orchidee freschissime su ogni tavolo. Al centro della sala, una vasca di marmo nero circolare, colma d’acqua, dentro cui  galleggiano delle enormi ninfee bianche e rosa. Un’atmosfera  elegante: un po’ costruita, un po’ fredda, ma certamente affascinante.
Superato il guardaroba, ecco la postazione del direttore di sala, dietro il suo bel bancone di legno dorato, stile barocco esagerato e anche di più. Il direttore ricorda alla Gatta l’uomo-pinguino del palazzo Malasorte. Alto alto, grande e grosso, rigido come una colonna: sorride con i suoi cento denti e accompagna i due clienti al tavolo. Perfetto! Il tavolo migliore: quello più vicino alla vetrata che dà sul giardino interno, illuminato a giorno, stracolmo di piante esotiche e statue.
“Ma quanta magnificenza!” pensa la Gatta, che ora inizia a sentirsi un po’ sui carboni ardenti “cosa devo aspettarmi ancora? Vabbè, la colpa è mia! Ho chiesto io di cenare in un ristorante chic!”

Seduti al tavolo, il Duca inizia con ordini in francese di cibo, vini e quant’altro. Ma come prima cosa ordina una bottiglia di champagne. E alla fine di tanto impegno, guarda la Gatta e le sorride.
“Scusa – esordisce lei – tanto per curiosità… ma cosa hai ordinato?”
“Ops! Ho sbagliato qualcosa? Intanto ho ordinato delle ostriche, come mi avevi chiesto oggi. Poi mi dirai cos’altro desideri….”  il Duca ora teme davvero di aver compiuto l’ennesimo passo falso.
La Gatta riflette un secondo e mezzo e formula un piccolo esame di coscienza: “Suvvia ragazza! Non essere così acida! Questa volta ha ragione lui: oggi avevi chiesto le ostriche….”
E a voce alta aggiunge: ”Sì, è vero, ma riflettendo bene, devo confessarti che le ostriche non sono proprio il mio piatto preferito!”
Il Duca scoppia a ridere e la tranquillizza: neanche a lui piacciono molto. Meno male! Ecco una prima cosa in comune: un certo rifiuto verso il pregiato mollusco di quelle conchiglione. E’ già un inizio.
Dalle ostriche, la conversazione inizia a fluire veloce verso i temi culinari più disparati: ricette esotiche, cibi mai provati, piatti tradizionali,  ricordi dell’infanzia tra merende e feste di compleanno….
E proprio ricordando un suo compleanno, la Gatta sospira. La nonna le aveva fatto preparare una torta enorme, ricoperta di fiori di zucchero bianchi come la neve. L’ultimo compleanno trascorso con lei.
Ma in quel momento, sono arrivate le ostriche e la Gatta può felicemente constatare che le valve sono già aperte: il tutto servito su un piatto di ghiaccio con fette di limone. Che sollievo! Deve solo usare quella strana posata d’argento, che sembra tanto il forcone mignon di un diavoletto. Rimane solo un unico, piccolo problema: mangiare quella robina viscida che c’è dentro. Ma forse il limone può aiutare ad attutire l’impatto.  Intanto, ad un metro, immobile e fiero come la statua di un eroe, c’è un cameriere pronto per qualsiasi tipo di necessità, compresa l’immediata sostituzione del tovagliolo che potrebbe cadere a terra. E non se ne va. Sembra ascoltare tutto ciò che dicono. Ma un po’ di privacy no? Va bene il servizio perfetto, ma questo è troppo perfetto! Praticamente sono a tavola in tre!
“Non ti piacciono le ostriche al limone?” chiede il Duca, osservando il viso preoccupato della Gatta.
“No, no. Sono buonissime! E’ che in questo momento sto pensando a una cosa. Scusa, ma a volte la mente vaga….” sussurra lei per non far sentire niente al terzo incomodo.
“Sì, capisco. Succede anche a me.  Ma ora voglio vederti serena e felice. Dimmi cosa posso fare perché questa serata possa essere, diciamo…. semplicemente indimenticabile….” il Duca tenta proprio il tutto e per tutto.
Eh no! Di nuovo attacchi alla fortezza! Quel “semplicemente indimenticabile” è eccessivo! Però piacevole. In fondo, non si può mica sempre vivere dentro a delle corazze per timore del mondo!
“E poi io non ho proprio paura di niente! Men che meno di questo ragazzo che mi fa gli occhi dolci!” pensa sicura di sé la Gatta.
“Senti…. Questo posto è semplicemente fantastico, elegante e chic. Però.... se proprio devo essere sincera, vorrei andare via di qui alla velocità della luce e infilarmi in una trattoria davanti ad una pizza seppellita sotto una slavina di mozzarella! Non so perché, ma in questo preciso istante sono certa che una pizza mi scalderebbe il cuore! Sono infantile?” e la Gatta si toglie un pezzetto di corazza.
“No. Non sei infantile. Sei te stessa. Sei la Gatta. Se tutti ti chiamano così, un motivo ci sarà!  Sono d’accordo con te: qui è tutto troppo finto. E poi, anch’io ho voglia di una pizza enorme!” e il Duca sorride. La Gatta  focalizza la sua mente e ogni pensiero su quel sorriso: potrebbe bastarle come cena, dopo cena,  spaghettata di mezzanotte e colazione del giorno dopo. Anzi, potrebbe pure digiunare una settimana o due.

Pagato il conto, il Duca e la Gatta escono ridendo dal locale: l’odio per le ostriche e per le finte atmosfere ha già creato una certa sintonia. Tanto che adesso anche salire sulla moto non è più un problema.
“Ma chissenefrega del vestito….” pensa la Gatta ormai in pericolosa fase di levitazione dal suolo.
E nuovamente stretti su quella dueruote che ormai sembra ad entrambi più fiabesca di un tappeto volante, i due ragazzi vanno a caccia di una trattoria. Del resto, sanno perfettamente che è solo una scusa. Una scusa per sentire intorno un’atmosfera più romantica e vera, un’aria più casalinga e concreta, un calore più semplice e spontaneo. Quello che serve per capire davvero se quelle farfalle  che sentono entrambi nello stomaco sono dovute a quel folle desiderio di pizza oppure a  qualcos’altro….

giovedì 9 febbraio 2012

La Gatta © by Barbara Giorgi - 22 capitolo

22.   FEMME   FATALE  


I bambini non sono semplicemente degli esseri umani: ciascuno di loro racchiude in sé qualcosa di piccolo ed ingenuo e qualcosa di grande ed inspiegabile. Vivono la quintessenza della fantasia. Non hanno preconcetti, non coltivano stereotipi, non vivono in compartimenti stagni. Sono pura energia mentale che, se lasciata libera, può andare oltre i limiti della cosiddetta ragione. Loro possono entrare ed uscire dalla dimensione dell’irreale come e quando vogliono: non pongono confini di sorta tra la realtà e l’immaginazione. Hanno paura del lupo cattivo perché questo nel loro mondo esiste davvero. Sognano le fate  perché la loro mente le vede davvero. Sono esseri magici che poi, crescendo ed entrando nel triste ingranaggio del quotidiano, diventano come gli adulti: banalissimi individui dotati di una mente inscatolata. E così perdono tutto il loro fascino, le mille potenzialità, la luce....

Quando rivede il piccolo Arcibaldo, la Gatta pensa proprio a questo: quel piccoletto è un essere speciale. Sì, come tutti i bambini, ma forse…. anche qualcosina di più.
Probabilmente, non è capitato per caso nella sua vita e per questo deve essere tenuto d’occhio: sotto quella massa di riccioli, deve esserci qualcosa di particolare. Perché quell’esserino sta affermando che la dama del quadro, la cara nonna Ginevra…. racconta favole!
La Gatta guarda alternativamente Arcibaldo e la figura della nonna. Ormai non ci sono più dubbi: è proprio lei la dama del dipinto. Quel quadro sembra l’esatta copia di quello appeso nella sua mansarda: unica variante, il colore dell’abito. Quindi, due autoritratti…. e gli altri tre? A chi li avrà donati la nonna? Beh, sarebbe interessante sapere dove sono. Interessante certo, ma non essenziale ed indispensabile quanto capire ciò che sta dicendo il piccolo Arcibaldo.
“Quindi,  questa signora ti racconta delle favole? Tu la vedi proprio? Dove? Quando?” insiste la Gatta, in pericolosa oscillazione tra ragione-emozione.
“Sììììì! La vedo qui! Dopo la nanna, dopo il buio, dopo la notte!” e Arcibaldo allarga le braccia e poi posiziona i piccoli pugni sui fianchi, un po’ risentito perché evidentemente  la Gatta non gli crede.
Ovvio non credergli: si sa, i bambini sono dotati di una bella fantasia! Sanno costruire mondi in cui potersi rifugiare lontano da adulti noiosi,  scontati e  - spesso - anche un po’ aridi. Questo racconto di Arcibaldo deve essere sicuramente dettato dal suo desiderio di attenzione, di affetto: comprensibilissimo!
Però, però, però…. un pensiero veloce porta la Gatta verso ricordi recenti di nebbioline vaganti per casa, sveglie impazzite, pappagalli parlanti e quasi pensanti, spiriti, maghi e maledizioni: un bel pot-pourri, non c’è che dire.
Tutto è collegato (e Arcibaldo è solo la ciliegina sulla torta) oppure sono eventi isolati e comunque spiegabili?
“Ma sì!” pensa la Gatta “probabilmente sono assurdità che possono capitare ogni tanto nella quasi-normale esistenza di una brava ragazza!”
Rincuorata da tanta razionalità, controlla l’ora sul cellulare. E’ già mezzogiorno! La Gatta getta un ultimo sguardo al dipinto ed esce dal salone, seguita dal passo veloce e saltellante di Arcibaldo.
Si dirige quindi verso il locale da far resuscitare: la futura stanza dei giochi dell’erede dei Malasorte.
La Gatta si siede a terra, tra scatoloni semiaperti e ricolmi di giocattoli,  arredi coperti da bianche lenzuola anti-polvere, bauli di legno tarmato e chiusi da lucchetti arrugginiti. Incrocia le gambe in posizione yoga, come farebbe Dea. Arcibaldo la guarda attento e pensa che sia meglio imitare quella posa, probabilmente necessaria per fare qualche nuovo gioco. Si siede e tenta pure lui un incrocio delle gambette ossute, tipo fachiro indiano.
I due si osservano a vicenda per qualche secondo, in silenzio. Poi Arcibaldo chiede: ”A cosa giochiamo?”
“No…. non siamo qui per giocare. Tesorino, io devo lavorare. Devo aiutare il tuo papà a fare bella questa stanza per te. Mi vuoi aiutare? Possiamo comunque divertirci insieme....” dice la Gatta,  intenerita dalla domanda infantile di Arcibaldo e da quella faccetta pallida e levigata come una porcellana.
“Va bene….” e Arcibaldo improvvisamente, si avvicina a lei e le dà un bacio sulla guancia. Un segno di ringraziamento: finalmente anche lui ha una vera amica, qualcuno che lo farà ridere un po’. La Gatta si tocca la guancia, vergognandosi di aver pensato tante cattiverie su quell’esserino indifeso. E con il cuore ormai ridotto a budino di crème caramel, gli domanda:
“Ora che siamo amici, mi dici la verità sul quadro della nonna? La vedi davvero?”
“Sììììì….. – ora Arcibaldo, come un soldatino in guerra, tenta di assumere una posizione di dominio su quel colloquio – ti ho detto tuttoooo! La nonna lacconta le favole!”
“Ma come fa a raccontarti le favole? Da dove viene, da dove arriva?” insiste ancora la Gatta.
“Dal disegno del mulo” e Arcibaldo alza le spallucce come se parlasse di una cosa evidente e scontata.
“Cioè….  dal qua-dro?” balbetta la Gatta sgranando gli occhi come davanti ad un flash.
“Sì! Dal disegno!” e Arcibaldo, stanco e deluso perché non vede alcuna possibilità di divertimento in quello sterile dialogo, troppo banale e ripetitivo per i suoi gusti, esce dalla stanza in cerca della tata. Sì, è antipatica, ma a questi punti è l’unica alternativa che gli resta in quel palazzo così noioso e grigio: magari potrà architettare un bel dispetto contro di lei! Basta lavorare di fantasia….
La Gatta  rimane seduta a terra. Non pensa: la sua mente è bloccata sul secondo autoritratto della nonna. Come un automa, apre la borsa, tira fuori blocco e pennarelli. Ecco che sul foglio bianco appare pian piano il disegno della futura stanza di Arcibaldo: in quel prospetto, un’esplosione di azzurro….  come l’abito della nonna.
Trascorre il tempo e la Gatta, ora con le gambe distese, si guarda intorno: disegni sparsi ovunque sul pavimento. Sono ore che disegna. E sono ore che non mangia. Solo due caffè in corpo non aiutano certo a lavorare! Mangiare? Oh mamma! A cena deve incontrare il Duca! E’ tardissimo e anche di più! Una ragazza che ha un appuntamento a cena necessita di almeno due o tre ore di restauri doverosi. La Gatta raccoglie velocemente i disegni, si catapulta fuori dalla stanza e, non vedendo nessuno, corre veloce verso il portone. Nel cortile c’è il “corazziere”: quel simpaticone addetto alla gestione di ingressi ed uscite. Senza dire una parola, l’uomo apre una delle due antichissime ante: la Gatta esce, salutando con un semplice “buonasera”, mentre sente alle sue spalle il tonfo assordante del portone che si chiude. La civetta sullo stemma sembra sobbalzare. Fuori da quel luogo, le luci della città sorridono allegramente come lucciole nell’oscurità. Puntini sfavillanti sospesi  in un fondo cupo: quelli più luminosi le indicano la strada verso casa.

Arrivata nella mansarda, la Gatta fa una doverosa sosta sotto la doccia e, in accappatoio e asciugamano sulla testa - che sembra il turbante versione “povera” della Maga Circe - si piazza  davanti ai vestiti della cabina armadio.
“Bel problema!” pensa, pervasa da un acuto senso di smarrimento “Non ho niente da mettermi!”
Ecco: questa è la frase che nove donne su dieci dicono ogni giorno davanti al proprio armadio. Ma qui la Gatta ha leggermente ragione! Cosa può indossare una ragazza che deve cenare a suon di ostriche e champagne? Oltretutto…. è stata proprio lei a dettare il clima chicchissimo della serata. Fare dietrofront è impossibile e ci vuole qualcosa di veramente unico! E qual è il colore più elegante, più glamour, più chic? Il nero! Sì,  il nero è il colore amico di ogni donna, perfetto in ogni occasione: dal colloquio di lavoro alla spesa al supermarket, dalla fila alla posta alla serata romantica. Lode al nero, quindi.
La Gatta sfiora con le mani gli abiti neri  che le sembrano più adatti alla serata: trovato! Di seta, lungo  quel tanto che basta, lineare e dritto come un capello passato alla piastra. Piastra? Appunto: “Ora devo pensare anche a capelli, trucco e…. tutto il resto!” Le scarpe? Ovviamente, quelle con il tacco più alto.
Strano ma vero, la Gatta è pronta con ben cinque minuti di anticipo. E Il Duca arriva, neanche a dirlo, con cinque minuti di anticipo: scampanellata leggera al portone. La Gatta risponde con uno squillante  “scendo!”. Un ultimo sguardo allo specchio: si toglie un becco d’oca dai capelli, tampona l’eccesso di rossetto color sangue, fa una prova di sorriso-affascinante-ma-contenuto. Ed esce dal suo nido con una tachicardia in corso.
“Sono proprio stupida!” pensa, mentre scende le scale con un pericolosissimo tacco quattordici “Non sarò mica preoccupata per questa cena? L’unica cosa che devo temere è che…. non so come si aprono le ostriche!”
Il portone del palazzo si apre sulla piazza, sulla città, sulla notte. La luce debole dei lampioni illumina la figura di un uomo alto, accanto ad una moto. Una moto? Ah beh! Ma allora non è certo il Duca.
“Ciao Gatta!” saluta il ragazzo, mentre si allontana dalla due ruote imponente e le si avvicina fino a rendere evidente il suo aspetto. Certo, il ragazzo è notevole: lei non ricordava quegli occhi azzurri, quel passo da uomo che non deve chiedere mai, quelle spalle da nuotatore olimpionico.
“Ciaooo….” esordisce lei con un filino di voce. Ma, per la precisione, non teme “lui”, bensì…. quell’oggetto scomodissimo con due ruote, senza finestrini, né portiere! Come farà a salire con un abito incollato sul corpo, tacco da femme fatale e capelli piastrati, su una moto grande come un divano ed instabile come un ago su una corda?
“Scusami, carissimo, ma sei venuto con quella cosa?” azzarda lei, nella speranza di un vigoroso “no” come risposta. Magari era accanto a quel pachiderma d’acciaio solo per caso. Magari è arrivato con un qualsiasi normalissimo mezzo dotato di quattro ruote, parcheggiato a due passi.
“Bella moto, vero? L’ho comprata ieri e ho pensato di provarla stasera, proprio con te!” risponde  il Duca, orgoglioso e trionfante.
“Bella….. certo….” la Gatta è troppo educata per piazzare lì, in faccia al Duca, ciò che pensa di quella bellissima, fantastica, meravigliosa idea da maschio ottuso ed egoista. Quindi tace, salendo sull’odiata due ruote, in qualche modo: arrotolando un po’ il vestito lungo e stretto, posizionando le splendide scarpe da sera su due trabiccoli laterali, mettendo il casco sull’opera d’arte della sua capigliatura. E il rossetto messo con mano delicata e sapiente? Stendiamo un velo pietoso.
E mentre la moto sfreccia via sicura e imponente, lei pensa rassegnata: “Ha proprio ragione Dea! Quella ragazza ha capito tutto della vita! Gli uomini possono davvero essere indigesti. Per cui…. è meglio cuocerli a puntino e condirli a dovere!”