La Gatta, una favola moderna .....

LA GATTA, UNA FAVOLA MODERNA


La Gatta vi dà il benvenuto....

La Gatta potrà essere la vostra amica virtuale nei giorni di pioggia, nei momenti di solitudine...

La Gatta proverà a farvi sorridere con le sue stranezze, con le sue piccole follie...


Potete comunicare con la Gatta, inviando mail a: lagattabybarbara@gmail.com

L'indice dei singoli Capitoli è nell'Archivio in fondo alla pagina blog.... lì troverete anche i primi Capitoli....

Buona lettura :)



mercoledì 23 maggio 2012

La Gatta © by Barbara Giorgi - COMUNICAZIONE PER GLI AMICI LETTORI

PER  GLI  AMICI  LETTORI  DE   “LA GATTA, UNA FAVOLA MODERNA”

LETTERA DI…. ARRIVEDERCI  A PRESTO….  J


Care amiche e cari amici lettori della Gatta, questo non è  un ADDIO. E’ un ARRIVEDERCI A PRESTO, con la speranza che possiate ritrovare la nostra amica…. in un libro.
Alcune Case editrici che ho contattato mi chiedono di sospendere la pubblicazione nel blog (per ovvi motivi di marketing),  per poter poi valutare il libro compiuto.
Quindi, eccomi qui a scrivere della Gatta sola soletta, senza poter condividere con voi le sue avventure. Per ora, per il momento.

Spero che, una volta terminato il libro, questo possa sorridervi da qualche stand. Magari al supermercato, magari su qualche bancarella di libri, magari in qualche piccola libreria di periferia. Chissà. Tempo al  tempo.

Sappiate comunque che la Gatta….vive. Sta agendo, sta continuando il suo cammino. Sempre a caccia di avventure, sempre circondata dai suoi amici bislacchi.

E, soprattutto, la Gatta mi ha pregato di salutarvi. E di dirvi: a presto!

Un abbraccio a tutti voi e un ringraziamento particolare a tutte le amiche e gli amici che hanno sempre sostenuto questo blog. Vi voglio bene!



lunedì 23 aprile 2012

La Gatta © by Barbara Giorgi - 27 capitolo


27.   MARCO  POLO 



Le certezze assolute, le situazioni definite, le risposte chiare e limpide fanno male alla salute. E’ risaputo. Perché non lasciano spazi a vie di fuga, sgomitate, sorpassi e deviazioni repentine.
Per cui, oggi più che mai, va di moda la “filosofia dell’altalena”, sostenuta ed applicata da coloro che ponderano, valutano, soppesano, dicono “ni”, stanno un po’ qua e un po’ là: in politica,  al lavoro, al bar durante il pokerino.
Ma anche dal parrucchiere, durante la difficile operazione dei colpi di luce: non troppo chiari, ma non troppo scuri, più di luna che di sole, più di penombra che di raggio pieno.
E in mezzo a tante altalene ci sono quelli che invece pensano e agiscono con l’agilità e la convinzione di un gatto randagio a caccia di topi.
A proposito di gatti. Già.


La Gatta adesso non sta cacciando, ma sta pianificando le sue imprese future. Congedato il buon Leo, adesso è di nuovo seduta sola soletta alla sua scrivania, con quel foglio di quaderno in mano. Sembra osservare un’opera d’arte di inestimabile valore. Invece è solo un pezzo di carta macchiato d’inchiostro, strappato sui bordi, con la scritta di un nome: “Cavaliere Grand’Ufficiale Commendatore Marco Polo”. E c’è pure l’indirizzo: “Quartiere Cinese, Via Pechino, numero 1”.
“Questo nome è certamente uno scherzo di Mister Formica oppure…. qui gatta ci cova! Se non ricordo male, Marco Polo fu un mercante veneziano del tredicesimo secolo, famoso per il suo viaggio in Cina, fino alla corte del   Gran Kahn. Se il nome sul foglietto corrisponde a verità, questo tipo deve essere un matto patentato e certificato allo stato puro! Altrimenti, come fa a chiamarsi così? E si è pure trovato una casa nel Quartiere Cinese!”
La Gatta è molto soddisfatta della sua analisi storica del nome. Mica patatine fritte: tutta cultura allo stato puro! Ora però, dopo cotanta spremitura di neuroni, che fare? Dato per scontato che Mister Formica non ha tutti i lunedì (e neppure gli altri giorni della settimana) e dato per scontato che anche questo Marco Polo probabilmente ha qualche problema di identità e autoconsapevolezza…. come procedere?
Il consiglio di Dea l’illuminata era quello di valutare per bene ogni indizio che  la nonna avrebbe posto sul cammino. Ma qui, dopo aver sospettato una sana follia di tale Marco Polo, rimane ben poco da fare. E quel ben poco, probabilmente è una verifica di persona.
“Qui c’è da toccare con mano! Devo conoscere il matto! Se può darmi informazioni sugli autoritratti della nonna, bene. Altrimenti, vorrà dire che avrò perso solo un po’ di tempo!” e la Gatta, ulteriormente soddisfatta per aver raggiunto una decisione epocale tutta da sola, senza neppure l’aiuto delle amiche, decide che quello è il giorno giusto per una nuova avventura. Da sola. E senza filosofia dell’altalena.
“Da sola? Magari con Lunadea….” un piccolo dubbio nella mente produttiva della Gatta fa scattare la ricerca del cellulare nella borsa da Mary Poppins. Trovato l’arnese, inviato sms, la Gatta chiude lo studio e si avvia verso il Quartiere Cinese. Le amiche la raggiungeranno là. Si spera.


Il nostro Marco Polo aveva deciso di adottare, tanti anni prima, questo nome leggermente altisonante al posto del suo (ormai finito nel dimenticatoio e ricordato solo da qualche documento personale). Viaggiatore “on the road”, mercante d’arte, affarista indefinito e non meglio identificato, amante del bello quanto della pecunia. Un soggetto bislacco, molto arguto, molto sagace. Senza scrupoli, più o meno.
Da giovane, aveva fatto fortuna  grazie a compravendite  d’oro, pietre preziose e avorio con una rete di traffici con l’Asia. Aveva anche trascorso qualche mese in prigioni non proprio accoglienti, qua e là, nel suddetto continente. Esperienze alquanto edificanti. Ma ogni volta, aveva ricominciato indenne le sue attività appaganti (soprattutto paganti).
Dopo aver viaggiato tanto in gioventù, adesso preferiva non uscire mai dalla sua casa-museo, stracolma di oggetti preziosi. Tra i pezzi più prestigiosi: una statua di giada del Buddha grande come un letto matrimoniale, una zanna di elefante tempestata di zaffiri e perle proveniente da Sumatra (e, poverelli, gli elefanti dell’isola sono oggi a rischio d’estinzione),  una testa di tigre reale del Bengala, imbalsamata, con incastonati occhi di rubino, appesa ad una parete del salone (inquietante).
Bel tipo questo Marco Polo: conosceva dialetti e pseudo-linguaggi asiatici, riti magici e religiosi, rituali propiziatori, ricette medicamentose e pure culinarie. Era amico di molti santoni che gli avevano predetto una morte violenta. Ecco perché non usciva mai di casa e guardava con sospetto ogni essere umano che entrava in contatto con lui per qualsivoglia motivo. Pure il postino: non accettava mai la sua penna per firmare le raccomandate. E se l’inchiostro avesse contenuto veleno?
La sua conoscenza antropologica andava oltre quella dei più accreditati studiosi. Così diceva. Perché lui aveva vissuto una vera  “full immersion” in realtà sociali estreme. Nella foresta,  lungo i corsi dei fiumi, nei deserti. Spesso senza cibo, né acqua. E aveva anche apprezzato la carne di serpente e il crocchiare degli scarafaggi sotto i denti. Le termiti no, non gli erano mai piaciute: troppo amarognole.
Nella sua vita sosteneva di aver amato solo una donna. Bellissima. Unica. Forse perché lui sapeva di non essere certo un santo, era attratto da questa donna che sembrava una luce nella sua misera vita. Ma lei non lo aveva mai riamato.
Un amore platonico: aveva sempre guardato quella luce da lontano, sognando ad occhi aperti.


La Gatta adesso è in auto e va zigzagando come un insetto tra quelle scatole vaganti nel traffico.
Parcheggio sudatissimo sotto un pino secolare, dopo un centinaio di manovre calcolate in modo logaritmico. Ed eccola scendere dall’auto per incontrare le amiche che - strano ma vero - sono già lì, davanti al numero civico uno.
“Ho visto la tua manovra, Gatta. Ma come fai a parcheggiare in quel modo assurdo? Ti devo insegnare io che sono un fenomeno!” questo è il saluto di Dea.
Ma la Gatta controbatte subito: “Lascia perdere il parcheggio e ascolta bene. Proprio tu hai detto che la chiave di lettura di tutta la vicenda della nonna è riferibile ai suoi cinque autoritratti. Ebbene, ho qui un foglietto con il nome del tizio che potrebbe darci qualche input in più. Abita qui e si chiama Marco Polo!”
Ora interviene Luna: ”Scusa tesoro, ma con quel nome…. ovvio che sia solo un matto!”
Dea risponde al posto della Gatta, per tutelare e difendere fino in fondo la sua teoria: “Dobbiamo verificare ogni indizio che troviamo sul nostro cammino:  normale o strano che sia. E poi i matti mi piacciono tanto. Li adoro. Odio la normalità: è troppo scontata! Non offre mai alcuna possibilità di andare oltre ciò che è prestabilito, codificato, regolato.”
Adesso la Gatta e Luna guardano Dea con stupore: questa ragazza sta dando delle belle soddisfazioni. Forse sta maturando un po’. Finalmente.
“Bene. Allora provo a citofonare. Buttiamoci senza perdere altro tempo!” sentenzia la Gatta, mentre individua il nominativo sul campanello. E suona.
Trascorrono dei secondi. Non molti. Una voce infastidita risponde: “Chi è che mi disturba?”
Le tre ragazze si guardano, spalancando leggermente gli occhi. Dea scoppia a ridere e risponde: “Caro signore, siamo tre ragazze  molto simpatiche. Abbiamo la macchina in panne e dovremmo chiamare il carro-attrezzi. Non abbiamo alcun cellulare con noi. Potremmo usare il suo telefono?”
La Gatta esplode in un: ”Cosa hai bevuto?” ma non fa in tempo a continuare il suo rimprovero perché la voce al citofono risponde: “Salite. Terzo piano.”
Il portone si apre cigolando e le tre ragazze entrano in un ingresso buio e polveroso. La luce è accesa da una vecchietta che sta chiudendo la porta del suo appartamento a piano terra. Le squadra, le guarda malissimo  e prima di scomparire oltre il portone condominiale esordisce con un: “Vedete di non buttare cicche di sigarette per terra e non fate rumore con i tacchi!”
“Ma noi non fumiamo! E adesso non indossiamo scarpe con i tacchi: abbiamo tutte le ballerine!” sbotta la Gatta “Iniziamo bene. Questo palazzo è tutto un manicomio!”
Le tre ragazze salgono le scale in punta di piedi, cercando di non fare rumore neppure con le ballerine. Dea tossisce e teme che qualcuno possa sgridarla.
Al terzo piano, c’è un’unica porta di ingresso, socchiusa. Luna bussa timidamente. Una voce baritonale le invita ad entrare.
Il Buddha di giada troneggia nel salone. Ai suoi piedi, sopra un cuscino di damasco color oro, c’è uno strano individuo vestito come un esploratore anni venti, con una divisa color kaki di cotone, stivaloni di cuoio e foulard al collo. Cappello ad elmetto coordinato all’abito. Avrà più o meno ottant’anni. Porta occhiali e ha un bel paio di mustacchi modello Francesco Giuseppe imperatore d’Austria.
“Ebbene donzelle?” chiede l’individuo padrone di casa.
“Ebbene….” Tutte e tre sussurrano quella parola. Tutte e tre non sanno cosa dire. Tutte e tre sono immobili come la statua del Buddha.
Ma Dea ad un tratto caccia un urlo disumano. La tigre appesa alla parete ha un sussulto e i rubini degli occhi sfavillano e non promettono nulla di buono.
“Nonna Ginevra!” Dea indica il quadro sotto la testa della tigre.
Le tre ragazze si catapultano verso l’animale imbalsamato che le guarda malissimo. E non degnano di uno sguardo il mercante, ancora accovacciato sotto il Buddha.
Dea, sbalordita, commenta il dipinto: “La nonna è senza vestiti! Praticamente è nuda!”
Luna le dà un pizzicotto al braccio e la Gatta la corregge: “Dea! Svegliati! Questa non è nonna Ginevra! E’ una copia della Venere del Botticelli. Un falso!”
“Sì, un falso d’autore di grande valore… - il mercante interviene nella discussione mentre si avvicina al quadro – “E ora, carissime pulzelle, potreste finalmente dirmi cosa volete da me? La verità sarebbe un gradito regalo!”
La Gatta lo guarda dritto negli occhi. Vorrebbe raccontare tutto e perdersi in un fiume di parole. Ma dalla bocca proprio non le esce neppure una vocale. Questo è un momento di panico allo stato puro.




venerdì 30 marzo 2012

La Gatta © by Barbara Giorgi - 26 capitolo


26.   MISTER   FORMICA


La donna vive spesso stati di pura “intelligenza emotiva”. Si sa. In abbondanza e molto più dell’uomo. Del resto, nascere donna è un privilegio di natura. Perché una donna è un essere umano, ma anche qualcosa di più: in lei, ragione ed emozione si fondono in meravigliosi melting-pot.
Sì, anche l’uomo vive di ragione-emozione: ma in lui, queste due “forze di natura” sembrano andare ciascuna per la propria strada. L’uomo agisce con la ragione in certe situazioni e con il sentimento in altre. La donna no: non fa distinzione. Lei agisce sempre con la “ragione del sentimento” (oppure… l’“emozione nella ragione”?).
La Gatta pensa ed agisce come una donna. Ma nutrendosi anche di natura felina, in lei il sentimento si trasforma in puro istinto. Altro che ragione….
 
 
Salutate Luna e Dea (o Lunadea, tout court), la Gatta lancia un’occhiatina ulteriore al quadro della nonna ed esce di casa per andare nel suo studio-pensatoio. Niente tacchi oggi! Ballerine meravigliosamente comode per piedi in crisi post-crampi  e un bel chissenefrega per lo stilista Leo che dovrà incontrare di lì a poco! Tanto Leo non è mai d’accordo con le sue mises! C’è sempre qualcosa che non va.
Infatti. Appena lo stilista entra nello studio della Gatta, squadra la ragazza facendole una tac. Si blocca sulla porta, emettendo un: “Caspiterina! Che dolore mi dai! Basta con le ballerine! Sono scarpe da papera, antiche come le piramidi….”
Ma poi Leo incrocia gli occhi della Gatta: un prato verde in preda ad un incendio. Per cui tace. E si siede nella poltrona di velluto rosso accanto alla finestra. Del resto è l’unica seduta libera: sopra sedie e poltrone, ovunque (pavimento compreso), ci sono pile di riviste, campioni di stoffe insieme a mille altri oggetti  trovati dal robivecchi all’angolo (e non solo).
Il robivecchi: un tipo niente male. Nel quartiere lo chiamano tutti Mister Formica perché compra, accatasta e conserva nel suo magazzino quintali di cose di ogni genere. Pure una ghigliottina francese periodo rivoluzione (probabile patacca perché non taglia neppure il salame). Ma la Gatta da lui acquista solo oggetti mignon, da riutilizzare nelle sue tante creazioni, dall’abbigliamento all’arredo. E, almeno per ora, la ghigliottina non le serve. Ingombra.
“Cara la mia Gatta, oggi sono in crisi di creatività….” Leo sospira, chiude gli occhi, si allunga e si stiracchia sulla poltrona.
“Caro il mio Leo, non parliamo di crisi! Io posso mettere su una rivendita di crisi pret-à-porter!”  risponde la Gatta, mentre si muove velocemente nella stanza in cerca del suo album da disegno  “Volevo farti vedere gli schizzi per la stanza del bimbetto Malasorte, ma non trovo nulla.”
“Come sempre!” Leo azzarda, ma prontamente rimedia “Cioè no: volevo dire che, come sempre, disegni nel tuo album e non su fogliacci qua e là come faccio io….”
“Trovato l’album dentro il frigobar!” esclama esultante la Gatta.
E Leo, questa volta animato da spirito di sopravvivenza, ora si limita a pensare: “Dentro il frigobar? Anche questo è ovvio! Mi devo rassegnare: è fatta così! Lei lascia i disegni al fresco….”
“Parliamone” propone Leo a voce alta.
“Di cosa? Dei miei disegni?” chiede la Gatta
“No. Delle crisi in genere: delle crisi creative, delle crisi esistenziali, delle crisi d’amore, delle crisi…” Leo inizia un elenco infinito.
“Sì, anche della crisi globale. Leoooo! Svegliati e torna in te! Sembri un posseduto. Vuoi parlare di crisi? Ti accontento. Io ho una crisi da fantasmi, una crisi da colpo di fulmine e una crisi da conto corrente in rosso. Ti basta? Anzi. Quand’è che mi paghi il lavoro finito e consegnato due mesi fa? Almeno risolvo una crisi su tre!” e la Gatta ora è davvero contenta della piega che sta prendendo la conversazione, perché le ha dato una bella opportunità. Su un piatto d’argento. Leo è tanto caro e buono, ma quando si parla di soldi si trasforma in un tirchio da guinness.
“Presto. Sì. Presto ti pago. Don’t worry….” Leo è imbarazzato e con una virata da Coppa America prosegue “parlami delle altre tue crisi….”
Manco a dirlo. La Gatta  non si fa mai pregare. E inizia il resoconto dettagliato degli ultimi giorni, comprensivo di ogni fatto e fatterello, focalizzando soprattutto sulla storia dei quadri della nonna.
Al termine, senza più salivazione, apre il frigobar custode della sua arte e tira fuori due succhi plurivitaminici. Bevuta silenziosa. I due tacciono. Chissà se pensano o se stanno solo riposando la materia grigia. Stand by. Ma il silenzio è presto interrotto perché la Gatta in genere riesce a tacere solo per qualche attimo.
“Sarebbe carino confrontarci tutti durante una cena. Noi due, Lunadea, la Regina Madre, il professore (senza pappagallo) e… ma dai sì: anche il Duca. Così poi potrei chiedere il vostro parere su di lui. Non che ne abbia bisogno. No. Io so sempre cosa fare. Posso ragionare da sola e adottare le mie belle decisioni. Lo inviterei solo per farlo conoscere anche a voi!”  la Gatta propone.
“Scusa, ma parli di questo tizio come se te lo dovessi sposare! Ma che decisione? Di cosa? Vivi tutto in modo troppo eccessivo, coinvolgente. Rilassati!” risponde Leo.
“Ma senti chi parla! Quando  devi adottare una decisione, continui a rivolgerti a tua madre! Non sai neppure cuocerti un uovo da solo! Sei il classico cocco di mamma!” e la Gatta apre la finestra per raffreddare i bollori.
“Okkkay. Scusa. Facciamo la pace. L’idea della cena è super. Anche perché ultimamente esco poco e ho voglia di distrarmi un po’. Ti aiuto io.  Faremo una cena bellissima, scenografica, chic….”  lo stilista tenta un armistizio.
  
Dalla finestra entrano rumori di ogni tipo e la Gatta si lascia un po’ cullare da quell’odiato-amato sottofondo cittadino. A volte vorrebbe vivere in un’isola deserta, ma poi come farebbe senza gli amici,  il cellulare, le chat, il dentifricio, la macchinetta del caffè espresso e la lima delle unghie? Meglio rimanere nella civiltà. Almeno finché non inventano un’isola deserta ad hoc per lei.
“Bene. Allora facciamo questa cena! Poi fissiamo una data. Adesso però vieni con me da Mister Formica che mi ha parlato di una sciabola spagnola del Seicento!” decide la Gatta.
“E cosa te ne faresti di una sciabola, se è lecito domandare?” chiede leggermente esasperato Leo.
“Nulla. Mi serve solo come decoro di questa parete. Comunque potrei sempre usarla anche come arma di difesa contro gli stilisti inopportuni!” e la Gatta ridacchia divertita “Però tranquillizzati, non la comprerò: sono senza pecunia!”
  
I due ragazzi escono dallo studio e si dirigono a braccetto, quasi saltellando, verso la bottega del robivecchi. Eccolo sulla porta a fumare un grosso sigaro cubano: una figura magra magra, con un camice nero. Sembra proprio una formica. Forse lo è stato in un’altra vita.
“Ciao Mister! E’  arrivata la sciabola spagnola?” chiede la Gatta entrando quasi correndo nel negozio.
Tutto lì è polveroso, accatastato, indistinguibile e indistinto: quel materiale ha la forma di un leviatano biblico. Un mostro fatto di tanti corpi. Ma la Gatta riesce a vedere in quel luogo qualcosa di magico, di fiabesco, di irreale. La luce filtra appena appena dalle finestre centenarie, con vetri ricoperti di strati di sporco antico. Ma anche quello fa parte della scenografia: sembra la tana di un orco.
“Gatta! Se non fosse che ho amato tua nonna come si ama la Venere del Botticelli, non ti farei più entrare nel mio regno! Sei sempre un cataclisma e ogni volta rompi qualcosa!”  Mister Formica spenge il sigaro e lo ripone dentro una scatola di cuoio, con delicatezza, come se fosse una reliquia. Lo guarda anche, come per promettergli un prossimo appuntamento e poi aggiunge: “No, la spada spagnola non è arrivata e comunque so che tanto non hai soldi per comprarla. L’ho promessa a un tipo qui in città che non ha problemi nei pagamenti: un collezionista, un vero estimatore, un signore d’altri tempi! Compra quadri, spade, arazzi e pezzi d’arte di ogni epoca….”
“Mister Formica! Cosa ne sai delle mie possibilità economiche?” chiede stizzita la Gatta “Io posso comprare anche tutta la tua bottega!”
Leo esce dal negozio per non ridere in faccia alla Gatta e non acutizzare la situazione. Ma poi ci ripensa e velocemente si rituffa in quell’atmosfera lugubre, esclamando: “Gatta! Un attimo! Questo collezionista forse potrebbe  conoscere la storia dei quadri di nonna Ginevra….”
“Di cosa state parlando voi due matti?” chiede la formica travestita da uomo.
“Mi servono nome, cognome e indirizzo di questo tipo!” dice con fare perentorio la Gatta, rivolgendosi al robivecchi.
“Ma non se ne parla proprio! Io sono come un padre confessore, come un avvocato, come un medico. Devo mantenere il segreto professionale!” protesta l’uomo-insetto.
“Ti pago!” e la Gatta, costretta dalla necessità,  usa la carta vincente.
“Se ne può discutere:  va bene! Sai che quando parli così mi intenerisco!” Mister Formica si siede sulla sua vecchia sedia traballante.
“Sì, so che quando parlo di soldi diventi dolcissimo!” la Gatta ironizza.
Ma è Leo a pagare. Così la Gatta ottiene su un foglietto di quaderno un nome, un cognome e un indirizzo. Forse niente. Forse un tassello in più di quel puzzle complicato.
E mentre escono dal negozio polveroso e buio come un tunnel, la Gatta pensa: “nonna Ginevra, se Dea ha ragione, sei tu che mi hai portato qui oggi! Quindi, avanti tutta….”


mercoledì 21 marzo 2012

La Gatta © by Barbara Giorgi - 25 capitolo


25.   L’IDEA  DI  DEA….

Concludere una serata romantica non è cosa facile. Soprattutto quando si tratta della prima, dell’incipit, dell’ouverture. Ci si dice “ciao, ci vediamo” oppure ci si scambia  un bacio oppure….? Non ci sono regole fisse. Il mondo è già talmente colmo e stracolmo di regole, il mondo è già alquanto intriso di diktat, il mondo è già così noioso e scontato! Perché quindi cercare precisi steps anche nelle emozioni? No, davvero….

“No, davvero!” pensa la Gatta, sopraggiunta sotto casa sua, insieme al Duca, grazie alla moto supersonica.
Il gioco della verità è finito poco prima. Almeno per questa sera. Adesso arriva il momento più delicato. E la Gatta non sa assolutamente cosa fare. Forse potrebbe offrirgli un caffè, così, tanto per digerire quel minestrone di ostriche, pizza e gelato. Sì, forse un caffè: sa così tanto di invito gentile, tranquillo, elegante.
“Allora ciao! Ti ringrazio per la serata. Sono stata davvero bene! Ci sentiamo presto, va bene?” e le parole escono dalla bocca della Gatta, in perfetto disaccordo con le sue intenzioni. Niente caffè.
“Ah…. d’accordo!  Stasera sono stato benissimo con te…. Vorrei vederti presto. Posso telefonarti?” chiede il Duca, mentre la guarda con l’intensità di mille watt.
La Gatta tenta di distogliere lo sguardo, per non avere ritorni di tachicardia galoppante. Ma lui le prende entrambe le mani e le bacia delicatamente le labbra. Mezzo secondo di contatto o anche meno, forse è solo un nano secondo di labbra vicine: ma questo basta e avanza. Perché quando una ragazza è già sulla graticola, basta una piccola, infinitesimale, incontrollabile, vagante fiammella in più e…. tutto divampa.
“Devo andare!” e la Gatta si gira sui tacchi-tortura, apre il portone e vola sulle scale, saltando gli scalini due a due. Con i tacchi, con i crampi, con la vista appannata.
Appena chiusa la porta della mansarda dietro di sé, si ferma e cerca di riprendere fiato.
“Sei stupida? Ma dico io: agitarsi solo per un bacetto insulso, insignificante, da scolaretta! Ah no: deve essere tutta colpa del gelato e di un blocco della digestione!” e la Gatta parla con se stessa tanto per fare un po’ il punto della situazione “Certo una tipa tosta non si fa prendere dal panico per così poco, per un bacetto tirato via e dato da un tipo così…. così…” Così come?
La Gatta si guarda allo specchio. Sospira: “Così unico e speciale….” Forse è il momento di abbassare le difese: la corazza non serve più. Ma la Gatta preferisce non ammetterlo.
“Si, vabbé. Ora basta e vai a nanna” continua, parlando con quell’“io”  che le fa tanta compagnia.
A letto,  sdraiata e rilassata (si fa per dire) il mondo sembra diverso. Tutto è in orizzontale: anche i pensieri. Quindi più lenti, quasi fermi: come un lago, come una pozza d’acqua tranquilla e statica. Ma ogni tanto in quella calma piatta, può esplodere una scintilla.
La serata con il Duca per ora è riposta in un cassettino della memoria. E la mente va a ripescare momenti recenti un po’ inquietanti. Per esempio, quella sveglia ancora lì vicino al letto che sembra vivere una vita propria: un oggetto  animato, pensante e quasi un po’ sadico.
“Non sarà che…. qualcuno posiziona la suoneria? Non sarà che…. qualcuno ha rimesso la sveglia accanto al letto dopo che l’avevo gettata via? Non sarà…? E chi è questo “qualcuno”? Se è vero che nonna Ginevra è vicino a me, potrebbe essere lei. E perché mai dovrebbe giocarmi questi scherzi? Certo lei è sempre stata strana, anche più di me. Il dna non è acqua. Forse vuol solo dirmi che c’è! Chissà! Vai a capirla! Devo parlarle per bene. Domani mi piazzo davanti al quadro e le faccio un bel discorsetto come dico io!”
E passata da un lago di pensieri ad un mare in tempesta, la Gatta si abbandona esausta tra le onde. E si addormenta.

Il mattino ha l’oro in bocca. Ma il mattino della Gatta sembra che abbia in bocca il piombo. Due o tre chili e anche di più. Vuoi per la cena della sera prima (con soste tra due ristoranti e chiusa di gelato), vuoi per gli incubi notturni, vuoi perché piove a dirotto e il cielo è più cupo della faccia della Maga Circe.
Solo una cosa riscalda ed illumina un po’ il tutto: il pensiero di quel bacetto veloce…. ma tanto, tanto romantico.
“Devo riunire il Consiglio: devo parlare con le due folli!” pensa la Gatta mentre afferra il cellulare con gli occhi ancora semichiusi dal sonno “Tanto non hanno mai niente da fare, vivono di rendita e se la godono. Beate loro!”
“Lunadea vn grz (venite grazie)” sms veloce e via.
“Gattamatta  vn  sb (veniamo subito)” sms di risposta.
La Gatta si prepara e, come da intenzione notturna, si posiziona davanti al quadro della nonna ed inizia il suo monologo: “Senti cara nonna, io ti voglio un mondo di bene, lo sai. Ma questi scherzi e scherzetti di nebbioline, sveglie transitanti, pappagalli parlanti e via dicendo non mi piacciono per niente! Perché mi spavento, non dormo e ho gli incubi. Come da bambina. Lo so che sei più strana di me, ma so anche che mi ami. Quindi: o ti fai vedere e ne parliamo un po’…. oppure…. evita di farmi prendere infarti!” e tutta soddisfatta del suo monologo molto razionale e convincente la Gatta manda un bacio alla nonna. Anzi, al quadro. Poi ci ripensa e aggiunge: “vorrei anche sapere perché ti fai vedere da quel diavoletto di Arcibaldo Malasorte e gli racconti pure le favole, mentre a me fai solo scherzi bislacchi! Parliamone….”
Ma suonano al citofono e la Gatta deve interrompere il suo rimprovero a nonna Ginevra.

L’associazione a delinquere Lunadea entra come un tornado. Del resto, quando le due ragazze sono presenti in una stanza o in qualsiasi ambiente circoscritto, tutto cambia. L’aria diventa frizzate, la luce si fa più intensa, ogni rumore è amplificato. La mansarda adesso sembra una pentola a pressione. Anche gli insetti si spaventano: i ragni fuggono dalle ragnatele, le mosche cercano nascondigli dietro ai mobili. Eccole dunque. Pronte per l’uso.
“Gattamattaaaaa! Baci baci! Problemi?” e Dea sintetizza tutto un mondo di concetti profondi e impegnativi.
“Gattina bella! Siamo arrivate più veloci della luce e di Batman! Tvtb!”  esclama Luna.
“Tvtb? Ma la smetti? Mica sei a scrivere sms!” precisa Dea.
Ma la Gatta interrompe subito qualsiasi tentativo di litigata tra le due sorelle: “Volevo farvi sapere che ieri sera sono uscita con quel…Duca….”
“Noooo! Racconta!” esclamazione all’unisono di Lunadea.
E la Gatta, accoccolata sul divano con il suo cuscino preferito sulla pancia (chissà perché….), inizia il suo resoconto dettagliato della sera precedente. Le due ragazze ascoltano senza emettere un  suono, con gli occhi spalancati come se si trattasse di un racconto horror.
Alla fine, la Gatta chiede il parere del Consiglio lì riunito: “Quindi? Ora come procediamo?” e usa il plurale per sentirsi meno sola nella decisione.
“Io dico che qui devi andare avanti subitissimo. Devi  giocartela bene e velocemente!” Dea sentenzia.
“Io dico che devi fermarti a pensare e andarci piano!” Luna controbatte.
“Vedo che siete in sintonia, come sempre!” sbuffa la Gatta “Vabbè, tanto la decisione spetta a me! Credo che farò un pot-pourri dei vostri consigli. Cioè: vado avanti ma.… calma e gesso!”
La Gatta tace. Riflette pochi secondi e poi ricomincia a parlare, ma il suo discorso subisce una repentina deviazione di tema: “Ho ancora problemi con…. la nonna!”
“Cioè?” Dea è sempre interessata ai fantasmi.
“Per motivi di lavoro, ho conosciuto un nobile, il Conte Malasorte. E pure suo figlio, un bimbetto di pochi anni che si chiama Arcibaldo. Il piccoletto sembra un po’ strano. Anzi, tutto  è alquanto strano. In un salone del palazzo c’è un autoritratto di nonna Ginevra: il conte dice che è una nobile amata da un suo avo e che in giro ci sarebbero cinque suoi autoritratti. Quindi, se consideriamo quello che ho io e quello che ha lui, ne mancano tre. Ma il fatto allucinante è che il piccolo Arcibaldo sostiene che…. la nonna esce dal quadro e gli racconta le favole….”  la Gatta racconta tutto in un unico fiato.
“Ah-ah-ah ….ma daiiiii! Nonna Ginevra che esce da un quadro, si fa un giretto e racconta favole ad un marmocchio! E poi come ci rientra nel quadro? C’è un pulsante on-off? Ah-ah-ah…. mi fa male la pancia dal ridere…..”  Dea dà il meglio di sé.
“Ma quanto sei ottusa! Se la Gatta dice che è così… è così! Io le credo!” Luna rincuora l’amica.
“No. Non dico che sia la realtà delle cose.  Ma mi chiedo: può arrivare a tanto la fantasia di un bambino? Troppi dettagli. Troppe coincidenze.”
“Mmmhhh….. eh  sì!”  le certezze di Dea iniziano a vacillare “Comunque, per la cronaca, io credo ai fantasmi. Ma non capisco tutti questi strani fatti ricollegabili alla nonna!”
“Nessuno può comprenderli.  Gli esseri umani non possono comunicare tanto facilmente con mondi ultraterreni….” e Luna usa un po’ di buonsenso.
La Gatta tenta allora un ragionamento: “Sì, ma proviamo lo stesso a capirci qualcosa. Dando per scontato che sia tutto vero (facciamo questa ipotesi), io domando: perché questi autoritratti in giro? Perché la nonna racconta favole ad  Arcibaldo? Perché la sveglia che suona quando le pare e viaggia dal cassonetto a casa mia? Perché un pappagallo che dà della bugiarda alla Maga Circe? C’è per forza qualcuno dietro a tutto questo! E a me viene in mente la nonna, visto che mi ritrovo segni della sua presenza in ogni dove!”
“Gatta! Io ho un’idea meravigliosa! E secondo me è la chiave di tutto!” esplode Dea, saltando in piedi come spinta da una molla di sapienza.
“Pendiamo dalle tue labbra…” ironizza Luna.
“Ebbene, la chiave di tutto sono i cinque autoritratti.  Dobbiamo capire dove sono gli altri tre!” Dea illumina tutta la stanza con le sue parole.
La Gatta e Luna spalancano la bocca. Silenzio. Forse la teoria di Dea non è così folle?
“E cosa facciamo ora?” chiede la Gatta.
“Analizziamo, setacciamo, valutiamo ogni possibile indizio, ogni traccia! La nonna ci metterà sulla strada giusta!” e Dea ora levita un metro dal pavimento. E’ davvero soddisfatta di sé. Che mente!
“Sì, ma perché i cinque autoritratti sarebbero la chiave di tutto?” domanda provocatoriamente Luna.
Ulteriore silenzio. Momento di profonda riflessione. Poi la Gatta, con qualche lacrima agli occhi, sussurra: “Forse perché la nonna amava dipingere: esprimeva le sue emozioni e comunicava con gli altri soprattutto con i suoi quadri. Forse ha scelto questa forma di dialogo anche con me: vuole che io arrivi a lei, usando il suo linguaggio più bello….”




lunedì 5 marzo 2012

La Gatta © by Barbara Giorgi - 24 capitolo


24.  IL  GIOCO  DELLA  VERITA’


A mezzanotte suonata e passata di un giorno qualsiasi, cosa può volere di più dalla vita una ragazza seduta  sopra una vecchia e consunta panchina di legno del parco pubblico, vicino al più romantico dei salici piangenti, sotto una luna grande come la pizza che ha appena mangiato, con gli occhi negli occhi dell’uomo più bello e gentile del mondo?
Forse un gelato alla crema! Sì, un gelato con la crema, intriso di abbondante sciroppo di amarena e ricoperto da panna a gogò. E pure le cialde. Il tutto per andare a far compagnia a quei due o tre chili di zucchero che già sente viaggiare nelle vene a causa di un probabile  colpo di fulmine. Eppure lei non ci ha mai creduto ai colpi di fulmine! No! La Gatta sogna quando deve sognare, non così per caso, per colpa di uno sguardo maschile incendiario, talmente incendiario…. da “pronto intervento vigili del fuoco”. E il gelato, oltre allo zucchero, è freddo. Sì, qualcosa di freddo o fresco o rinfrescante o rigenerante…. ora è davvero necessario.
Alla Gatta non piacciono le cose che non riesce a controllare. I sentimenti, per l’appunto, non si possono controllare. E lei, si permette deroghe solo con le amiche e con il ricordo della nonna: non con individui maschi! Come un vero felino diffida di sconosciuti e semi-sconosciuti: deve valutare bene chi ha di fronte, prima di concedere anche la minima possibilità di accesso alla sua sfera emotiva. E’ una Gatta, sempre e comunque, di nome e di fatto.
“Vorrei un gelato. Posso offrirtelo io?” domanda quindi al Duca, evitando lo sguardo da pronto intervento.
“Stavo proprio pensando la stessa cosa. Ma questa serata è offerta da me, dall’inizio alla fine….” e il Duca sorride.
Mano nella mano (con leggero disappunto della Gatta), si dirigono verso un chiosco lì vicino.
Il piazzale è stracolmo di ragazzi rumorosi e allegri. C’è un vociare incredibile: sembra di essere alla festa del santo patrono di un paesino. Ragazzi seduti su scooters, ragazzi seduti sul marciapiede, ragazzi seduti su alcuni muretti. Perfino ragazzi seduti sui rami più bassi di una vecchia quercia.
Ragazzi che ridono, parlano, cantano strofe di canzoni e si abbracciano, per sentirsi come un’unica anima rumorosa, scoppiettante, viva. Non ci sono barriere. Non ci sono transenne. C’è  un sottile filo che unisce tutti, perché la notte annulla ogni preconcetto, ogni schema, ogni definizione. Di notte, tutti sono amici di tutti, senza alcuna distinzione di età, di ruolo, di status.
E la Gatta ama vivere di notte. Solo che lei ora, con quel vestito lungo, si sente a disagio. Vorrebbe i suoi jeans scoloriti, le ballerine, la coda di cavallo. Vorrebbe lavarsi il viso dalla fonduta del fondotinta. Ma in quel momento, come se le leggesse nel pensiero, il Duca le dice: ”…quanto sei bella!” E lo zucchero nelle vene si trasforma in miele d’acacia: denso e incollato, sempre di più, in ogni meandro del suo corpo.
Comprati i gelati alla crema (ma senza cialde), i due ragazzi si sistemano vicini vicini, sullo scalino di un portone, più vecchio e consunto della panchina di prima. La Gatta, come una bambina golosa a cui proprio non importa il bon-ton, si butta sul suo gelato come se fosse l’unico cibo su un’isola deserta. Golosa lo è sempre stata. Lei è convinta che il suo folle amore per i dolci sia tutta carenza d’affetto e probabilmente è proprio così.
“Senti un po’ - dice dopo la quinta cucchiaiata di gelato  - perché non mi racconti qualcosa di interessante della tua vita? Siamo insieme da qualche ora, ma sinceramente non so ancora nulla di te. Cioè, so che sei soprannominato il Duca  e so che hai una moto grande come un loft. Il resto me lo racconti a puntate?” e la Gatta ridacchia, mentre la crema le arriva ormai sul naso.
“Beh, potrei anche raccontarti qualcosa di me, a puntate, come dici tu. Così avrei anche l’occasione per rivederti! Allora, cosa vorresti sapere di me in questa prima puntata della nostra…. fiction?” chiede il Duca sorridendo sornione.
“Fiction? Calma e gesso! Guardi troppa tv! Qui non c’è nessuna fiction! Anzi, no! E’ tutta una fiction, nel senso che…. Boh! Mica stiamo facendo sul serio, no?” la Gatta si rende conto di essersi incartata letteralmente in discorsi alquanto bislacchi, incastrando idee e parole come se fossero pezzi di un puzzle complicatissimo. E lei ha sempre odiato i puzzle!
“Okkkkay! Allora facciamo così, se sei d’accordo: giochiamo un po’, senza impegno. Io  racconterò una cosa di me e tu racconterai una cosa di te. Va bene?” suggerisce divertito il ragazzo, ormai consapevole della follia accattivante, affascinante, coinvolgente di quella strana ragazza.
“Mmmmhhh.... c’è l’inghippo? C’è la fregatura?” provoca lei, tutta sconsolata nel vedere la coppetta vuota di gelato. Ora come farà a sostenere quella conversazione senza il carburante del glucosio? Lei lo brucia prima ancora di ingerirlo.
“Nessun inghippo. Non sono uno stratega. Fidati. Io sarò sincero e tu pure, spero…” e il Duca convince la Gatta.
Inizia lui, dopo qualche secondo di riflessione, il “gioco della verità” nel  buio di questa notte di ostriche e champagne, di pizze e gelati alla crema, di farfalle nello stomaco, di esplosioni di stelle, di zucchero nelle vene.
“Dunque. Intanto potrei iniziare con lo svelarti il motivo del mio soprannome, il Duca. Gli amici mi chiamano così perché ho un anello particolare, con uno stemma inciso. E’ un anello di famiglia, di mio nonno che – credo – l’abbia ricevuto in dono da una principessa o contessa o duchessa o roba simile. Tutto qui. Comunque sai bene che mi chiamo Alessandro. Ale e basta. Ma tu chiamami come preferisci….” poi, dopo un attimo di sguardo magnetico sulla Gatta, il Duca prosegue “e tu perché ti fai chiamare Gatta?”
“Non sono io che ho deciso questo nome. Mi chiamano tutti così. Credo sia stata mia nonna Ginevra, per prima, a stabilire che questo nome mi calzava a pennello. Non hai visto i miei artigli?” e la Gatta ridacchia. Il Duca annuisce e le sorride. Poi riprende in mano la situazione.
“Adesso potrei parlarti dei miei difetti principali. Sono un egocentrico: sì, devo sentirmi sempre al centro dell’attenzione, in qualsiasi contesto. Forse perché in realtà non sono così sicuro di me stesso e quindi ho bisogno di continue conferme da parte degli altri. Poi, sono un pignolo, ma solo in certe cose: per esempio, negli orari degli appuntamenti. E ancora, sono allergico alle piume dei volatili e agli acari e…. sono golosissimo di cioccolato!”  il Duca sembra essersi liberato da un macigno nello stomaco. Però teme la reazione della Gatta: ha detto due o tre cose poco romantiche che potrebbero pure rovinare l’atmosfera.
“Ah sì? Sei goloso di cioccolato? Io pure. Poi, vediamo, fammi pensare….. sono “scombinata”! Sì, nel senso che spesso penso una cosa e poi ne faccio un’altra! Sarà normale? E’ come se non riuscissi a stare dietro a quello che decide la mia mente. Vado a mille! Forse sono dotata di un’intelligenza superiore alla media che mi permette connessioni cerebrali velocissime: ma non ho ancora capito bene come  gestire la situazione. Chissà! Magari potrei costituire  oggetto di studio sulle potenzialità della mente. Che dici: ho doti speciali e non me ne sono ancora resa completamente conto?  Ne devo prendere atto? Un altro difetto: mi capita  di dimenticarmi degli appuntamenti o di arrivare in ritardo. Perché vivo un po’ tra le nuvole. Mi sento spesso sospesa in un Limbo, tra sogno e realtà. Sono dotata di un eccesso patologico di fantasia! E poi ancora, ho delle fobie: ho paura dei topi e dei pipistrelli! Ma tanta tanta paura! Invece adoro gli animali feroci. Hai presente i leoni, le tigri e le pantere? Ecco: vorrei avere una pantera nera in casa, ma probabilmente non ci starebbe troppo comoda! E poi nel mio palazzo c’è già lo zoo del professor Astrolabio e quello basta e avanza!” e la Gatta, tutta soddisfatta del suo outing surreale, sospira e tace.
Non si ricorda neppure una parola di ciò che ha detto: questione di rimozione immediata causa sopravvivenza. E’ solo consapevole del fatto di aver pronunciato un bel po’ di parole: se ne rende conto dal viso stordito del Duca.
Qualche secondo di silenzio purificatore e nell’aria cominciano nuovamente a svolazzare le parole della Gatta.
“Quindi? Dopo i “difetti”, qual è il secondo tema del nostro gioco della verità? Lo decido io? Sì, lo decido io! Adesso parliamo dei nostri desideri più grandi, dei sogni nel cassetto e in cassaforte. Il mio sogno più grande è diventare una designer famosissima, dalla moda all’arredo d’interni. Una come Coco: un’icona. E quando morirò la mia arte dovrà sopravvivere a me. Voglio creare cose fantastiche, immortali. E voglio che siano esposte al Moma di New York! Sì ….e magari guadagnare tanto e poi partire per l’Africa e aiutare i bambini. Con i soldi guadagnati vorrei costruire dei pozzi d’acqua ovunque. Vorrei sommergere l’Africa d’acqua potabile. E creerei pure una fondazione!” e la Gatta alquanto soddisfatta dei suoi progetti così modesti e facilmente realizzabili, distende le lunghe gambe in mezzo alla strada. Ormai uno strano formicolio sembra preannunciare crampi da tacco.
“Così poco? Hai sogni davvero banali!" – ridacchia il Duca e poi, facendosi serio, aggiunge “io invece vorrei diventare un pittore famoso. Sono un architetto discretamente bravo, ma in verità amo dipingere: appena posso  dipingo tutto quello che vedo. Sono un seguace della Pop Art, attenta alla società dei consumi, nel bene e nel male. Con la mia arte posso alterare, modificare, manipolare  tutti i messaggi dei media, delle pubblicità….  Senti, se diventi una designer famosa, magari potresti anche avere bisogno di un pittore un po’ folle.  Che dici? Potremmo lavorare insieme!” e il Duca scherza, ma non troppo, su questa sua proposta che sembra tanto impossibile quanto i progetti  della Gatta.
“Sì. Ma comando io!”  annuisce convinta la Gatta, come se fosse in procinto di firmare un accordo di lavoro completo di termini, modalità e condizioni varie.
Poi chiude gli occhi. Sente il fresco della notte sulle tempie, tra i capelli scombinati, sulle ciglia. Quel venticello le ricorda la pseudo-carezza di quella nebbiolina, qualche giorno prima, in casa.
“E poi la nonna. Nonna Ginevra. Lei è il vero sogno nel cassetto. La sento viva: vorrei vederla!” e la Gatta si stupisce di aver pronunciato quelle frasi così intime, così sue, così personali, così segrete ad un ragazzo con cui parla da poche ore.
“La senti viva? Cosa vuoi dire? Tua nonna è morta e dentro di te è rimasto un ricordo molto forte?” chiede il Duca interessato.
“Lasciamo perdere. Scusa. Non dovevo!” sbotta la Gatta scattando in piedi nonostante i crampi ai piedi, in sospetto d’arrivo.
“Perché fai così? Non devi vergognarti di sentimenti positivi, belli, sinceri!” e il Duca tenta di riportare la Gatta alla tranquillità.
Lei ora si risiede, ma si posiziona un po’ più lontana dal ragazzo, come per timore di un eccesso di confidenza, di feeling. Parla, ma non lo guarda: “Già! Le assenze sono sempre dure da elaborare. Soprattutto quelle definitive. Ma io credo che nonna Ginevra non se ne sia andata per sempre da me. Non può, perché sa che sono praticamente sola. Lei è con me! Lei è viva, in un'altra forma, in un mondo parallelo! Perché sennò la storia dei…. quadri?” la Gatta ormai sembra parlare solo con se stessa, lontana da quel portone, dal Duca, dai ragazzi rumorosi lì vicino.
In un batter d’occhio, si è tuffata nel suo stranissimo mondo. Il Duca la guarda e tace: a volte – e lui lo sa – è meglio un silenzio  surreale di una frase scontata. La sua anima d’artista può comprendere l’anima ferita di un Gatta.




lunedì 20 febbraio 2012

La Gatta © by Barbara Giorgi - 23 capitolo

23.  OSTRICHE  E  CHAMPAGNE  


Quando noi ragazze, dai quindici ai settant’anni (e oltre) dobbiamo presentarci ad un appuntamento con un “lui”, godiamo più dell’attesa che del momento in sé. E’ come la vigilia di una festa, come un “sabato del villaggio” (scritto da uno che  viveva di frizzi e lazzi…. ).
Ed è proprio in nome e per conto di questo leopardiano principio che noi brave ragazze spendiamo buona parte della nostra esistenza in operazioni di auto-reset,  quando siamo in quella fase di incognita: pur essendo sospese in un limbo di pensieri su ciò che avverrà, riusciamo comunque ad agire con un perfetto susseguirsi di delicatissime operazioni di pronto intervento. Ma a volte tutto questo impegno va a farsi benedire.

Come nel caso della Gatta: dopo la discesa dalla moto-astronave finalmente parcheggiata davanti al ristorante, il suo look  ha effettivamente subito una leggera devastazione. Infatti, la povera ragazza deve affrontare una situazione alquanto bizzarra, tra  srotolamento vestito da sera (ridotto a fisarmonica) e tamponamento fondotinta (ridotto a fonduta). Tanto per menzionare solo due operazioni tra le mille necessarie ad un ritorno alle origini.
Davanti al ristorante, la Gatta vorrebbe abbandonare lì moto e motociclista. Ma poi quest’ultimo si toglie il casco e lei riesce a vedere per la seconda volta due occhi che le sembrano i più belli che un essere umano possa avere. Anche un marziano.
Non  riesce a staccare gli occhi da quel viso e dice a se stessa, mentendo in modo vergognoso: “Discreto….” ma la tachicardia che si ripresenta, insieme ad un leggero volare di farfalle nello stomaco, le trasmettono un messaggio diverso: “Unico….”
Il Duca ora le sorride e le prende delicatamente le mani: “Sono felice di essere qui con te….” dice con un tono sommesso e la voce profonda di un doppiatore di film hollywoodiani.
“Ahi….” pensa la Gatta, sentendo che le sue difese, gli artigli, la corazza, la fortezza, le mura merlate del castello, il ponte levatoio…. tutto sta cedendo! E allora usa l’ultima barriera che le resta, l’ultima carta da giocare per creare nuovamente un po’ di distanza tra lei e il pericolo incombente. E in modo alquanto infantile esordisce con un “Ho fame! Che ne dici di entrare?”
Il Duca annuisce, le prende la mano e la accompagna delicatamente verso l’entrata. Entra per primo, come galateo comanda: un po’ vecchiotto come modus operandi, ma pur sempre valido ed apprezzabile.
Il locale appare agli occhi della Gatta come un luogo davvero sublime. Luci soffuse, pareti bianche e nere, tavoli coperti da tovaglie di seta damascata color grigio perla, poltroncine dorate con un grande schienale, rivestite di seta. Composizioni di orchidee freschissime su ogni tavolo. Al centro della sala, una vasca di marmo nero circolare, colma d’acqua, dentro cui  galleggiano delle enormi ninfee bianche e rosa. Un’atmosfera  elegante: un po’ costruita, un po’ fredda, ma certamente affascinante.
Superato il guardaroba, ecco la postazione del direttore di sala, dietro il suo bel bancone di legno dorato, stile barocco esagerato e anche di più. Il direttore ricorda alla Gatta l’uomo-pinguino del palazzo Malasorte. Alto alto, grande e grosso, rigido come una colonna: sorride con i suoi cento denti e accompagna i due clienti al tavolo. Perfetto! Il tavolo migliore: quello più vicino alla vetrata che dà sul giardino interno, illuminato a giorno, stracolmo di piante esotiche e statue.
“Ma quanta magnificenza!” pensa la Gatta, che ora inizia a sentirsi un po’ sui carboni ardenti “cosa devo aspettarmi ancora? Vabbè, la colpa è mia! Ho chiesto io di cenare in un ristorante chic!”

Seduti al tavolo, il Duca inizia con ordini in francese di cibo, vini e quant’altro. Ma come prima cosa ordina una bottiglia di champagne. E alla fine di tanto impegno, guarda la Gatta e le sorride.
“Scusa – esordisce lei – tanto per curiosità… ma cosa hai ordinato?”
“Ops! Ho sbagliato qualcosa? Intanto ho ordinato delle ostriche, come mi avevi chiesto oggi. Poi mi dirai cos’altro desideri….”  il Duca ora teme davvero di aver compiuto l’ennesimo passo falso.
La Gatta riflette un secondo e mezzo e formula un piccolo esame di coscienza: “Suvvia ragazza! Non essere così acida! Questa volta ha ragione lui: oggi avevi chiesto le ostriche….”
E a voce alta aggiunge: ”Sì, è vero, ma riflettendo bene, devo confessarti che le ostriche non sono proprio il mio piatto preferito!”
Il Duca scoppia a ridere e la tranquillizza: neanche a lui piacciono molto. Meno male! Ecco una prima cosa in comune: un certo rifiuto verso il pregiato mollusco di quelle conchiglione. E’ già un inizio.
Dalle ostriche, la conversazione inizia a fluire veloce verso i temi culinari più disparati: ricette esotiche, cibi mai provati, piatti tradizionali,  ricordi dell’infanzia tra merende e feste di compleanno….
E proprio ricordando un suo compleanno, la Gatta sospira. La nonna le aveva fatto preparare una torta enorme, ricoperta di fiori di zucchero bianchi come la neve. L’ultimo compleanno trascorso con lei.
Ma in quel momento, sono arrivate le ostriche e la Gatta può felicemente constatare che le valve sono già aperte: il tutto servito su un piatto di ghiaccio con fette di limone. Che sollievo! Deve solo usare quella strana posata d’argento, che sembra tanto il forcone mignon di un diavoletto. Rimane solo un unico, piccolo problema: mangiare quella robina viscida che c’è dentro. Ma forse il limone può aiutare ad attutire l’impatto.  Intanto, ad un metro, immobile e fiero come la statua di un eroe, c’è un cameriere pronto per qualsiasi tipo di necessità, compresa l’immediata sostituzione del tovagliolo che potrebbe cadere a terra. E non se ne va. Sembra ascoltare tutto ciò che dicono. Ma un po’ di privacy no? Va bene il servizio perfetto, ma questo è troppo perfetto! Praticamente sono a tavola in tre!
“Non ti piacciono le ostriche al limone?” chiede il Duca, osservando il viso preoccupato della Gatta.
“No, no. Sono buonissime! E’ che in questo momento sto pensando a una cosa. Scusa, ma a volte la mente vaga….” sussurra lei per non far sentire niente al terzo incomodo.
“Sì, capisco. Succede anche a me.  Ma ora voglio vederti serena e felice. Dimmi cosa posso fare perché questa serata possa essere, diciamo…. semplicemente indimenticabile….” il Duca tenta proprio il tutto e per tutto.
Eh no! Di nuovo attacchi alla fortezza! Quel “semplicemente indimenticabile” è eccessivo! Però piacevole. In fondo, non si può mica sempre vivere dentro a delle corazze per timore del mondo!
“E poi io non ho proprio paura di niente! Men che meno di questo ragazzo che mi fa gli occhi dolci!” pensa sicura di sé la Gatta.
“Senti…. Questo posto è semplicemente fantastico, elegante e chic. Però.... se proprio devo essere sincera, vorrei andare via di qui alla velocità della luce e infilarmi in una trattoria davanti ad una pizza seppellita sotto una slavina di mozzarella! Non so perché, ma in questo preciso istante sono certa che una pizza mi scalderebbe il cuore! Sono infantile?” e la Gatta si toglie un pezzetto di corazza.
“No. Non sei infantile. Sei te stessa. Sei la Gatta. Se tutti ti chiamano così, un motivo ci sarà!  Sono d’accordo con te: qui è tutto troppo finto. E poi, anch’io ho voglia di una pizza enorme!” e il Duca sorride. La Gatta  focalizza la sua mente e ogni pensiero su quel sorriso: potrebbe bastarle come cena, dopo cena,  spaghettata di mezzanotte e colazione del giorno dopo. Anzi, potrebbe pure digiunare una settimana o due.

Pagato il conto, il Duca e la Gatta escono ridendo dal locale: l’odio per le ostriche e per le finte atmosfere ha già creato una certa sintonia. Tanto che adesso anche salire sulla moto non è più un problema.
“Ma chissenefrega del vestito….” pensa la Gatta ormai in pericolosa fase di levitazione dal suolo.
E nuovamente stretti su quella dueruote che ormai sembra ad entrambi più fiabesca di un tappeto volante, i due ragazzi vanno a caccia di una trattoria. Del resto, sanno perfettamente che è solo una scusa. Una scusa per sentire intorno un’atmosfera più romantica e vera, un’aria più casalinga e concreta, un calore più semplice e spontaneo. Quello che serve per capire davvero se quelle farfalle  che sentono entrambi nello stomaco sono dovute a quel folle desiderio di pizza oppure a  qualcos’altro….