27. MARCO POLO
Le certezze assolute, le
situazioni definite, le risposte chiare e limpide fanno male alla salute. E’
risaputo. Perché non lasciano spazi a vie di fuga, sgomitate, sorpassi e
deviazioni repentine.
Per cui, oggi più che mai,
va di moda la “filosofia dell’altalena”, sostenuta ed applicata da coloro che
ponderano, valutano, soppesano, dicono “ni”, stanno un po’ qua e un po’ là: in
politica, al lavoro, al bar durante il
pokerino.
Ma anche dal parrucchiere, durante
la difficile operazione dei colpi di luce: non troppo chiari, ma non troppo
scuri, più di luna che di sole, più di penombra che di raggio pieno.
E in mezzo a tante altalene
ci sono quelli che invece pensano e agiscono con l’agilità e la convinzione di
un gatto randagio a caccia di topi.
A proposito di gatti. Già.
La Gatta adesso non sta
cacciando, ma sta pianificando le sue imprese future. Congedato il buon Leo,
adesso è di nuovo seduta sola soletta alla sua scrivania, con quel foglio di
quaderno in mano. Sembra osservare un’opera d’arte di inestimabile valore.
Invece è solo un pezzo di carta macchiato d’inchiostro, strappato sui bordi,
con la scritta di un nome: “Cavaliere
Grand’Ufficiale Commendatore Marco Polo”. E c’è pure l’indirizzo: “Quartiere Cinese, Via Pechino, numero 1”.
“Questo nome è certamente
uno scherzo di Mister Formica oppure…. qui gatta ci cova! Se non ricordo male, Marco
Polo fu un mercante veneziano del tredicesimo secolo, famoso per il suo viaggio
in Cina, fino alla corte del Gran Kahn. Se il nome sul foglietto
corrisponde a verità, questo tipo deve essere un matto patentato e certificato
allo stato puro! Altrimenti, come fa a chiamarsi così? E si è pure trovato una
casa nel Quartiere Cinese!”
La Gatta è molto
soddisfatta della sua analisi storica del nome. Mica patatine fritte: tutta
cultura allo stato puro! Ora però, dopo cotanta spremitura di neuroni, che
fare? Dato per scontato che Mister Formica non ha tutti i lunedì (e neppure gli
altri giorni della settimana) e dato per scontato che anche questo Marco Polo
probabilmente ha qualche problema di identità e autoconsapevolezza…. come
procedere?
Il consiglio di Dea
l’illuminata era quello di valutare per bene ogni indizio che la nonna avrebbe posto sul cammino. Ma qui,
dopo aver sospettato una sana follia di tale Marco Polo, rimane ben poco da
fare. E quel ben poco, probabilmente è una verifica di persona.
“Qui c’è da toccare con
mano! Devo conoscere il matto! Se può darmi informazioni sugli autoritratti
della nonna, bene. Altrimenti, vorrà dire che avrò perso solo un po’ di tempo!”
e la Gatta, ulteriormente soddisfatta per aver raggiunto una decisione epocale
tutta da sola, senza neppure l’aiuto delle amiche, decide che quello è il
giorno giusto per una nuova avventura. Da sola. E senza filosofia
dell’altalena.
“Da sola? Magari con
Lunadea….” un piccolo dubbio nella mente produttiva della Gatta fa scattare la
ricerca del cellulare nella borsa da Mary Poppins. Trovato l’arnese, inviato
sms, la Gatta chiude lo studio e si avvia verso il Quartiere Cinese. Le amiche
la raggiungeranno là. Si spera.
Il nostro Marco Polo aveva
deciso di adottare, tanti anni prima, questo nome leggermente altisonante al
posto del suo (ormai finito nel dimenticatoio e ricordato solo da qualche
documento personale). Viaggiatore “on the road”, mercante d’arte, affarista
indefinito e non meglio identificato, amante del bello quanto della pecunia. Un
soggetto bislacco, molto arguto, molto sagace. Senza scrupoli, più o meno.
Da giovane, aveva fatto
fortuna grazie a compravendite d’oro, pietre preziose e avorio con una rete
di traffici con l’Asia. Aveva anche trascorso qualche mese in prigioni non
proprio accoglienti, qua e là, nel suddetto continente. Esperienze alquanto
edificanti. Ma ogni volta, aveva ricominciato indenne le sue attività appaganti
(soprattutto paganti).
Dopo aver viaggiato tanto
in gioventù, adesso preferiva non uscire mai dalla sua casa-museo, stracolma di
oggetti preziosi. Tra i pezzi più prestigiosi: una statua di giada del Buddha
grande come un letto matrimoniale, una zanna di elefante tempestata di zaffiri e
perle proveniente da Sumatra (e, poverelli, gli elefanti dell’isola sono oggi a
rischio d’estinzione), una testa di
tigre reale del Bengala, imbalsamata, con incastonati occhi di rubino, appesa
ad una parete del salone (inquietante).
Bel tipo questo Marco Polo:
conosceva dialetti e pseudo-linguaggi asiatici, riti magici e religiosi,
rituali propiziatori, ricette medicamentose e pure culinarie. Era amico di
molti santoni che gli avevano predetto una morte violenta. Ecco perché non
usciva mai di casa e guardava con sospetto ogni essere umano che entrava in
contatto con lui per qualsivoglia motivo. Pure il postino: non accettava mai la
sua penna per firmare le raccomandate. E se l’inchiostro avesse contenuto
veleno?
La sua conoscenza
antropologica andava oltre quella dei più accreditati studiosi. Così diceva. Perché
lui aveva vissuto una vera “full
immersion” in realtà sociali estreme. Nella foresta, lungo i corsi dei fiumi, nei deserti. Spesso
senza cibo, né acqua. E aveva anche apprezzato la carne di serpente e il
crocchiare degli scarafaggi sotto i denti. Le termiti no, non gli erano mai
piaciute: troppo amarognole.
Nella sua vita sosteneva di
aver amato solo una donna. Bellissima. Unica. Forse perché lui sapeva di non
essere certo un santo, era attratto da questa donna che sembrava una luce nella
sua misera vita. Ma lei non lo aveva mai riamato.
Un amore platonico: aveva
sempre guardato quella luce da lontano, sognando ad occhi aperti.
La Gatta adesso è in auto e
va zigzagando come un insetto tra quelle scatole vaganti nel traffico.
Parcheggio sudatissimo
sotto un pino secolare, dopo un centinaio di manovre calcolate in modo
logaritmico. Ed eccola scendere dall’auto per incontrare le amiche che - strano
ma vero - sono già lì, davanti al numero civico uno.
“Ho visto la tua manovra,
Gatta. Ma come fai a parcheggiare in quel modo assurdo? Ti devo insegnare io
che sono un fenomeno!” questo è il saluto di Dea.
Ma la Gatta controbatte subito: “Lascia perdere il
parcheggio e ascolta bene. Proprio tu hai detto che la chiave di lettura di
tutta la vicenda della nonna è riferibile ai suoi cinque autoritratti. Ebbene,
ho qui un foglietto con il nome del tizio che potrebbe darci qualche input in
più. Abita qui e si chiama Marco Polo!”
Ora interviene Luna: ”Scusa
tesoro, ma con quel nome…. ovvio che sia solo un matto!”
Dea risponde al posto della
Gatta, per tutelare e difendere fino in fondo la sua teoria: “Dobbiamo
verificare ogni indizio che troviamo sul nostro cammino: normale o strano che sia. E poi i matti mi
piacciono tanto. Li adoro. Odio la normalità: è troppo scontata! Non offre mai
alcuna possibilità di andare oltre ciò che è prestabilito, codificato,
regolato.”
Adesso la Gatta e Luna
guardano Dea con stupore: questa ragazza sta dando delle belle soddisfazioni.
Forse sta maturando un po’. Finalmente.
“Bene. Allora provo a
citofonare. Buttiamoci senza perdere altro tempo!” sentenzia la Gatta, mentre
individua il nominativo sul campanello. E suona.
Trascorrono dei secondi.
Non molti. Una voce infastidita risponde: “Chi è che mi disturba?”
Le tre ragazze si guardano,
spalancando leggermente gli occhi. Dea scoppia a ridere e risponde: “Caro
signore, siamo tre ragazze molto
simpatiche. Abbiamo la macchina in panne e dovremmo chiamare il carro-attrezzi.
Non abbiamo alcun cellulare con noi. Potremmo usare il suo telefono?”
La Gatta esplode in un: ”Cosa
hai bevuto?” ma non fa in tempo a continuare il suo rimprovero perché la voce
al citofono risponde: “Salite. Terzo piano.”
Il portone si apre
cigolando e le tre ragazze entrano in un ingresso buio e polveroso. La luce è
accesa da una vecchietta che sta chiudendo la porta del suo appartamento a
piano terra. Le squadra, le guarda malissimo
e prima di scomparire oltre il portone condominiale esordisce con un:
“Vedete di non buttare cicche di sigarette per terra e non fate rumore con i
tacchi!”
“Ma noi non fumiamo! E
adesso non indossiamo scarpe con i tacchi: abbiamo tutte le ballerine!” sbotta
la Gatta “Iniziamo bene. Questo palazzo è tutto un manicomio!”
Le tre ragazze salgono le
scale in punta di piedi, cercando di non fare rumore neppure con le ballerine.
Dea tossisce e teme che qualcuno possa sgridarla.
Al terzo piano, c’è
un’unica porta di ingresso, socchiusa. Luna bussa timidamente. Una voce baritonale
le invita ad entrare.
Il Buddha di giada
troneggia nel salone. Ai suoi piedi, sopra un cuscino di damasco color oro, c’è
uno strano individuo vestito come un esploratore anni venti, con una divisa
color kaki di cotone, stivaloni di cuoio e foulard al collo. Cappello ad
elmetto coordinato all’abito. Avrà più o meno ottant’anni. Porta occhiali e ha
un bel paio di mustacchi modello Francesco Giuseppe imperatore d’Austria.
“Ebbene donzelle?” chiede
l’individuo padrone di casa.
“Ebbene….” Tutte e tre
sussurrano quella parola. Tutte e tre non sanno cosa dire. Tutte e tre sono
immobili come la statua del Buddha.
Ma Dea ad un tratto caccia
un urlo disumano. La tigre appesa alla parete ha un sussulto e i rubini degli
occhi sfavillano e non promettono nulla di buono.
“Nonna Ginevra!” Dea indica
il quadro sotto la testa della tigre.
Le tre ragazze si
catapultano verso l’animale imbalsamato che le guarda malissimo. E non degnano
di uno sguardo il mercante, ancora accovacciato sotto il Buddha.
Dea, sbalordita, commenta
il dipinto: “La nonna è senza vestiti! Praticamente è nuda!”
Luna le dà un pizzicotto al
braccio e la Gatta la corregge: “Dea! Svegliati! Questa non è nonna Ginevra! E’
una copia della Venere del Botticelli. Un falso!”
“Sì, un falso d’autore di
grande valore… - il mercante interviene nella discussione mentre si avvicina al
quadro – “E ora, carissime pulzelle, potreste finalmente dirmi cosa volete da
me? La verità sarebbe un gradito regalo!”
La Gatta lo guarda dritto
negli occhi. Vorrebbe raccontare tutto e perdersi in un fiume di parole. Ma dalla
bocca proprio non le esce neppure una vocale. Questo è un momento di panico
allo stato puro.