La Gatta, una favola moderna .....

LA GATTA, UNA FAVOLA MODERNA


La Gatta vi dà il benvenuto....

La Gatta potrà essere la vostra amica virtuale nei giorni di pioggia, nei momenti di solitudine...

La Gatta proverà a farvi sorridere con le sue stranezze, con le sue piccole follie...


Potete comunicare con la Gatta, inviando mail a: lagattabybarbara@gmail.com

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Buona lettura :)



lunedì 5 marzo 2012

La Gatta © by Barbara Giorgi - 24 capitolo


24.  IL  GIOCO  DELLA  VERITA’


A mezzanotte suonata e passata di un giorno qualsiasi, cosa può volere di più dalla vita una ragazza seduta  sopra una vecchia e consunta panchina di legno del parco pubblico, vicino al più romantico dei salici piangenti, sotto una luna grande come la pizza che ha appena mangiato, con gli occhi negli occhi dell’uomo più bello e gentile del mondo?
Forse un gelato alla crema! Sì, un gelato con la crema, intriso di abbondante sciroppo di amarena e ricoperto da panna a gogò. E pure le cialde. Il tutto per andare a far compagnia a quei due o tre chili di zucchero che già sente viaggiare nelle vene a causa di un probabile  colpo di fulmine. Eppure lei non ci ha mai creduto ai colpi di fulmine! No! La Gatta sogna quando deve sognare, non così per caso, per colpa di uno sguardo maschile incendiario, talmente incendiario…. da “pronto intervento vigili del fuoco”. E il gelato, oltre allo zucchero, è freddo. Sì, qualcosa di freddo o fresco o rinfrescante o rigenerante…. ora è davvero necessario.
Alla Gatta non piacciono le cose che non riesce a controllare. I sentimenti, per l’appunto, non si possono controllare. E lei, si permette deroghe solo con le amiche e con il ricordo della nonna: non con individui maschi! Come un vero felino diffida di sconosciuti e semi-sconosciuti: deve valutare bene chi ha di fronte, prima di concedere anche la minima possibilità di accesso alla sua sfera emotiva. E’ una Gatta, sempre e comunque, di nome e di fatto.
“Vorrei un gelato. Posso offrirtelo io?” domanda quindi al Duca, evitando lo sguardo da pronto intervento.
“Stavo proprio pensando la stessa cosa. Ma questa serata è offerta da me, dall’inizio alla fine….” e il Duca sorride.
Mano nella mano (con leggero disappunto della Gatta), si dirigono verso un chiosco lì vicino.
Il piazzale è stracolmo di ragazzi rumorosi e allegri. C’è un vociare incredibile: sembra di essere alla festa del santo patrono di un paesino. Ragazzi seduti su scooters, ragazzi seduti sul marciapiede, ragazzi seduti su alcuni muretti. Perfino ragazzi seduti sui rami più bassi di una vecchia quercia.
Ragazzi che ridono, parlano, cantano strofe di canzoni e si abbracciano, per sentirsi come un’unica anima rumorosa, scoppiettante, viva. Non ci sono barriere. Non ci sono transenne. C’è  un sottile filo che unisce tutti, perché la notte annulla ogni preconcetto, ogni schema, ogni definizione. Di notte, tutti sono amici di tutti, senza alcuna distinzione di età, di ruolo, di status.
E la Gatta ama vivere di notte. Solo che lei ora, con quel vestito lungo, si sente a disagio. Vorrebbe i suoi jeans scoloriti, le ballerine, la coda di cavallo. Vorrebbe lavarsi il viso dalla fonduta del fondotinta. Ma in quel momento, come se le leggesse nel pensiero, il Duca le dice: ”…quanto sei bella!” E lo zucchero nelle vene si trasforma in miele d’acacia: denso e incollato, sempre di più, in ogni meandro del suo corpo.
Comprati i gelati alla crema (ma senza cialde), i due ragazzi si sistemano vicini vicini, sullo scalino di un portone, più vecchio e consunto della panchina di prima. La Gatta, come una bambina golosa a cui proprio non importa il bon-ton, si butta sul suo gelato come se fosse l’unico cibo su un’isola deserta. Golosa lo è sempre stata. Lei è convinta che il suo folle amore per i dolci sia tutta carenza d’affetto e probabilmente è proprio così.
“Senti un po’ - dice dopo la quinta cucchiaiata di gelato  - perché non mi racconti qualcosa di interessante della tua vita? Siamo insieme da qualche ora, ma sinceramente non so ancora nulla di te. Cioè, so che sei soprannominato il Duca  e so che hai una moto grande come un loft. Il resto me lo racconti a puntate?” e la Gatta ridacchia, mentre la crema le arriva ormai sul naso.
“Beh, potrei anche raccontarti qualcosa di me, a puntate, come dici tu. Così avrei anche l’occasione per rivederti! Allora, cosa vorresti sapere di me in questa prima puntata della nostra…. fiction?” chiede il Duca sorridendo sornione.
“Fiction? Calma e gesso! Guardi troppa tv! Qui non c’è nessuna fiction! Anzi, no! E’ tutta una fiction, nel senso che…. Boh! Mica stiamo facendo sul serio, no?” la Gatta si rende conto di essersi incartata letteralmente in discorsi alquanto bislacchi, incastrando idee e parole come se fossero pezzi di un puzzle complicatissimo. E lei ha sempre odiato i puzzle!
“Okkkkay! Allora facciamo così, se sei d’accordo: giochiamo un po’, senza impegno. Io  racconterò una cosa di me e tu racconterai una cosa di te. Va bene?” suggerisce divertito il ragazzo, ormai consapevole della follia accattivante, affascinante, coinvolgente di quella strana ragazza.
“Mmmmhhh.... c’è l’inghippo? C’è la fregatura?” provoca lei, tutta sconsolata nel vedere la coppetta vuota di gelato. Ora come farà a sostenere quella conversazione senza il carburante del glucosio? Lei lo brucia prima ancora di ingerirlo.
“Nessun inghippo. Non sono uno stratega. Fidati. Io sarò sincero e tu pure, spero…” e il Duca convince la Gatta.
Inizia lui, dopo qualche secondo di riflessione, il “gioco della verità” nel  buio di questa notte di ostriche e champagne, di pizze e gelati alla crema, di farfalle nello stomaco, di esplosioni di stelle, di zucchero nelle vene.
“Dunque. Intanto potrei iniziare con lo svelarti il motivo del mio soprannome, il Duca. Gli amici mi chiamano così perché ho un anello particolare, con uno stemma inciso. E’ un anello di famiglia, di mio nonno che – credo – l’abbia ricevuto in dono da una principessa o contessa o duchessa o roba simile. Tutto qui. Comunque sai bene che mi chiamo Alessandro. Ale e basta. Ma tu chiamami come preferisci….” poi, dopo un attimo di sguardo magnetico sulla Gatta, il Duca prosegue “e tu perché ti fai chiamare Gatta?”
“Non sono io che ho deciso questo nome. Mi chiamano tutti così. Credo sia stata mia nonna Ginevra, per prima, a stabilire che questo nome mi calzava a pennello. Non hai visto i miei artigli?” e la Gatta ridacchia. Il Duca annuisce e le sorride. Poi riprende in mano la situazione.
“Adesso potrei parlarti dei miei difetti principali. Sono un egocentrico: sì, devo sentirmi sempre al centro dell’attenzione, in qualsiasi contesto. Forse perché in realtà non sono così sicuro di me stesso e quindi ho bisogno di continue conferme da parte degli altri. Poi, sono un pignolo, ma solo in certe cose: per esempio, negli orari degli appuntamenti. E ancora, sono allergico alle piume dei volatili e agli acari e…. sono golosissimo di cioccolato!”  il Duca sembra essersi liberato da un macigno nello stomaco. Però teme la reazione della Gatta: ha detto due o tre cose poco romantiche che potrebbero pure rovinare l’atmosfera.
“Ah sì? Sei goloso di cioccolato? Io pure. Poi, vediamo, fammi pensare….. sono “scombinata”! Sì, nel senso che spesso penso una cosa e poi ne faccio un’altra! Sarà normale? E’ come se non riuscissi a stare dietro a quello che decide la mia mente. Vado a mille! Forse sono dotata di un’intelligenza superiore alla media che mi permette connessioni cerebrali velocissime: ma non ho ancora capito bene come  gestire la situazione. Chissà! Magari potrei costituire  oggetto di studio sulle potenzialità della mente. Che dici: ho doti speciali e non me ne sono ancora resa completamente conto?  Ne devo prendere atto? Un altro difetto: mi capita  di dimenticarmi degli appuntamenti o di arrivare in ritardo. Perché vivo un po’ tra le nuvole. Mi sento spesso sospesa in un Limbo, tra sogno e realtà. Sono dotata di un eccesso patologico di fantasia! E poi ancora, ho delle fobie: ho paura dei topi e dei pipistrelli! Ma tanta tanta paura! Invece adoro gli animali feroci. Hai presente i leoni, le tigri e le pantere? Ecco: vorrei avere una pantera nera in casa, ma probabilmente non ci starebbe troppo comoda! E poi nel mio palazzo c’è già lo zoo del professor Astrolabio e quello basta e avanza!” e la Gatta, tutta soddisfatta del suo outing surreale, sospira e tace.
Non si ricorda neppure una parola di ciò che ha detto: questione di rimozione immediata causa sopravvivenza. E’ solo consapevole del fatto di aver pronunciato un bel po’ di parole: se ne rende conto dal viso stordito del Duca.
Qualche secondo di silenzio purificatore e nell’aria cominciano nuovamente a svolazzare le parole della Gatta.
“Quindi? Dopo i “difetti”, qual è il secondo tema del nostro gioco della verità? Lo decido io? Sì, lo decido io! Adesso parliamo dei nostri desideri più grandi, dei sogni nel cassetto e in cassaforte. Il mio sogno più grande è diventare una designer famosissima, dalla moda all’arredo d’interni. Una come Coco: un’icona. E quando morirò la mia arte dovrà sopravvivere a me. Voglio creare cose fantastiche, immortali. E voglio che siano esposte al Moma di New York! Sì ….e magari guadagnare tanto e poi partire per l’Africa e aiutare i bambini. Con i soldi guadagnati vorrei costruire dei pozzi d’acqua ovunque. Vorrei sommergere l’Africa d’acqua potabile. E creerei pure una fondazione!” e la Gatta alquanto soddisfatta dei suoi progetti così modesti e facilmente realizzabili, distende le lunghe gambe in mezzo alla strada. Ormai uno strano formicolio sembra preannunciare crampi da tacco.
“Così poco? Hai sogni davvero banali!" – ridacchia il Duca e poi, facendosi serio, aggiunge “io invece vorrei diventare un pittore famoso. Sono un architetto discretamente bravo, ma in verità amo dipingere: appena posso  dipingo tutto quello che vedo. Sono un seguace della Pop Art, attenta alla società dei consumi, nel bene e nel male. Con la mia arte posso alterare, modificare, manipolare  tutti i messaggi dei media, delle pubblicità….  Senti, se diventi una designer famosa, magari potresti anche avere bisogno di un pittore un po’ folle.  Che dici? Potremmo lavorare insieme!” e il Duca scherza, ma non troppo, su questa sua proposta che sembra tanto impossibile quanto i progetti  della Gatta.
“Sì. Ma comando io!”  annuisce convinta la Gatta, come se fosse in procinto di firmare un accordo di lavoro completo di termini, modalità e condizioni varie.
Poi chiude gli occhi. Sente il fresco della notte sulle tempie, tra i capelli scombinati, sulle ciglia. Quel venticello le ricorda la pseudo-carezza di quella nebbiolina, qualche giorno prima, in casa.
“E poi la nonna. Nonna Ginevra. Lei è il vero sogno nel cassetto. La sento viva: vorrei vederla!” e la Gatta si stupisce di aver pronunciato quelle frasi così intime, così sue, così personali, così segrete ad un ragazzo con cui parla da poche ore.
“La senti viva? Cosa vuoi dire? Tua nonna è morta e dentro di te è rimasto un ricordo molto forte?” chiede il Duca interessato.
“Lasciamo perdere. Scusa. Non dovevo!” sbotta la Gatta scattando in piedi nonostante i crampi ai piedi, in sospetto d’arrivo.
“Perché fai così? Non devi vergognarti di sentimenti positivi, belli, sinceri!” e il Duca tenta di riportare la Gatta alla tranquillità.
Lei ora si risiede, ma si posiziona un po’ più lontana dal ragazzo, come per timore di un eccesso di confidenza, di feeling. Parla, ma non lo guarda: “Già! Le assenze sono sempre dure da elaborare. Soprattutto quelle definitive. Ma io credo che nonna Ginevra non se ne sia andata per sempre da me. Non può, perché sa che sono praticamente sola. Lei è con me! Lei è viva, in un'altra forma, in un mondo parallelo! Perché sennò la storia dei…. quadri?” la Gatta ormai sembra parlare solo con se stessa, lontana da quel portone, dal Duca, dai ragazzi rumorosi lì vicino.
In un batter d’occhio, si è tuffata nel suo stranissimo mondo. Il Duca la guarda e tace: a volte – e lui lo sa – è meglio un silenzio  surreale di una frase scontata. La sua anima d’artista può comprendere l’anima ferita di un Gatta.