La Gatta, una favola moderna .....

LA GATTA, UNA FAVOLA MODERNA


La Gatta vi dà il benvenuto....

La Gatta potrà essere la vostra amica virtuale nei giorni di pioggia, nei momenti di solitudine...

La Gatta proverà a farvi sorridere con le sue stranezze, con le sue piccole follie...


Potete comunicare con la Gatta, inviando mail a: lagattabybarbara@gmail.com

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Buona lettura :)



domenica 30 ottobre 2011

La Gatta © by Barbara Giorgi - 12 capitolo


12. NONNA  GINEVRA


Acqua: due atomi di idrogeno e uno di ossigeno. Cosa c’è di più semplice al mondo? Cosa c’è di più naturale sul globo? Eppure,  in alcuni luoghi l’acqua è più rara e più preziosa dell’oro e dei diamanti. Ma l’uomo occidentale – quello che usufruisce di lavatrici, lavastoviglie, lavaggi auto, lampade u.v.a. con doccia, toilettes  canine  e quant’altro - non ha ancora capito che quei pochi atomi di idrogeno-ossigeno sono oggi il bene maggiore dell’umanità.  Beh, l’acqua è necessaria per la nostra igiene personale e per la pulizia degli ambienti in cui viviamo: non siamo certo uomini primitivi! Ma se potessimo evitare di usarla pure per raffreddare le barre radioattive….

La Gatta, essere che riunisce in sé la duplice natura umana e felina, è invece ben consapevole della ricchezza implicita dell’acqua. Infatti, le sue docce non comportano mai sprechi (a parte qualche pozza imprevista e involontaria sul pavimento): un insaponamento vigoroso e consistente, seguito da getti mirati ed efficaci. Una cosa però se la concede: qualche secondo di calde spruzzatine su collo e schiena per rilassare  muscolatura e nervi. Con docce così, anche la peggiore arrabbiatura scompare come neve al sole, come un funghetto appassito tra le radici secolari di una sequoia, come una formica sfortunata sotto un piede umano. E così sembrerebbe scomparire la rabbia della Gatta. Sembrerebbe. In verità in quell’aria umida, dove viaggiano due o tre nuvolette di vapore acqueo, si percepisce una certa carica elettrica.
Uscita dalla doccia terapeutica al patchouli, seguita da massaggio con crema al burro di karité, la Gatta si infila in un asciugamano di spugna grande come un lenzuolo matrimoniale e si distende - unta come un’acciuga fritta - sopra il divano. Solleva le gambe in alto, perpendicolarmente al soffitto,  formando con il corpo un perfetto angolo di novanta gradi.
“Questa posizione serve alla circolazione: sicuramente mi arriva anche più sangue al cervello, così rifletto meglio!”  pensa,  certa dell’efficacia dei suoi metodi di rilassamento. In questa geometrica posizione ad angolo retto, la Gatta inizia a riflettere sul biglietto del Duca. Ma in verità la sua testa le comunica un vuoto assoluto: non sa cosa fare, come comportarsi, quale scelta adottare. Forse dovrebbe prepararsi per l’invito a cena e quindi levigare il suo viso come quello di una bambola di porcellana, eliminare qualsiasi brufoletto impertinente, truccarsi con mano sapiente ed accorta, vestirsi come una bomba sexy …. oppure…. oppure le è concesso rimanere distesa sul divano con le gambe allungate verso quel Cielo che forse la lascia un po’ troppo spesso sola, a risolvere dubbi amletici ai quali non riesce  mai a dare una risposta.
Le sue gambe ad un tratto ritornano sul divano. Con il suo passo felpato, la Gatta si alza  e lentamente va davanti all’autoritratto di nonna Ginevra, vicino alla porta d’ingresso. Quella signora con un lungo abito bianco la guarda con il sorriso di Monna Lisa. Quel sorriso che la Gatta ben conosce: un sorriso che dice tutto e niente e non si sa neppure se è un sorriso. Forse è una leggera smorfia contro la vita o contro qualcuno. Forse è la promessa-premessa di uno scherzo, di un ritorno, di una sorpresa…. Chissà.  Vai a capire nonna Ginevra: tutta un programma! Una Donna più Sapiens delle Sapiens. E la Gatta l’aveva tanto amata quella nonna incontenibile come una tempesta, folle e divertente come un’esplosione di fuochi artificiali,  dolce come una torta millefoglie stracolma di crema.
Nonna Ginevra. Ecco…. ora…. in quel preciso momento della sua vita, in quell’istante….  le sue parole le sarebbero davvero utili. E invece  il Cielo l’ha portata via!
La Gatta, davanti a quel quadro, si tuffa in un mare di pensieri. Nonna Ginevra: una donna di altri tempi. Alta, bella, con il portamento di una regina. Quando entrava in una stanza, intorno a lei si poteva notare, con una certa inquietudine, una luce leggera e soffusa che ne disegnava la figura. Sembrava una fata dei boschi, pronta a scomparire da un momento all’altro per tornare accanto ad elfi e fauni. La Gatta aveva ascoltato più volte i  racconti della sua gioventù, durante le sere d’inverno: loro due, sole, sedute davanti al camino e abbracciate strette strette, lontane dal resto del mondo, immerse in parole ed immagini che solo loro potevano comprendere e vedere. La nonna da giovane aveva lunghi capelli d’oro che sembravano un mantello morbido e quei capelli avevano fatto innamorare più di un ragazzo. Lei però non si preoccupava molto del codazzo di poveri innamorati che la seguivano ovunque: aveva ben altro a cui pensare! Dopo due lauree (dico due, e consideriamo i tempi….) in materie artistico-letterarie, aveva viaggiato per tutta la superficie del globo, con ogni mezzo di trasporto, con ogni situazione meteo-fisico-ambientale, passando da palazzi di nobili suoi pari, ad alberghi extralusso da un centinaio di stelle, fino a tende di cotonaccio sporco e maleodorante piazzate nel deserto, per giungere persino a ricoveri approssimativi dentro cunicoli cavernosi bui e umidicci. Viaggiava per soddisfare la sua sete di conoscenza.
Nonna Ginevra. Anche il nome era tipicamente nobile, da elenco telefonico: Artemisia Beatrice Camilla Desdemona Ermengarda Filomena Ginevra. Nel corso degli anni, la mente riflessiva della nonna era giunta alla seguente e ponderata conclusione: il nome Artemisia era magnifico perché riconduceva alla pittrice seicentesca, ma dopo aver visto il quadro più famoso della medesima, quella “Giuditta che decapita Oloferne” con schizzi di sangue in ogni dove…. le era nata un po’ di inquietudine “post film horror” e aveva deciso di optare per un altro nome del suo elenco telefonico personale. Dunque: Beatrice sapeva di eccessiva dolcezza a causa della dantesca memoria,  Camilla era troppo normale, Ermengarda faceva troppo “sparse le trecce morbide sull’affannoso petto”, Desdemona le faceva venire sempre un po’ di torcicollo e Filomena era il nome della sua pappagalla cocorita, per cui c’erano problemi di omonimia casalinga. Dunque rimaneva Ginevra: bellino!  Ricordava tanto Lancillotto e i cavalieri della tavola rotonda….  ma lei lo aveva preferito agli altri nomi perché ispirava una certa puntualità da orologio svizzero (dote di cui era sprovvista da sempre).
Nonna Ginevra era nata nobile (probabilmente contessa), ma aveva perso il tuo titolo a causa del matrimonio con un povero e normalissimo avvocato di provincia di cui si era perdutamente innamorata. Peccato che l’avvocato, bellissimo uomo dal fascino indiscutibile, avesse invece sposato Ginevra solo per i suoi averi (e forse anche per la chioma d’oro). L’avvocato, cioè nonno Rodolfo, nel corso degli anni aveva dilapidato tutti i beni o quasi della moglie, sia per estinguere i propri debiti di gioco, sia per comprare regali costosissimi alle ballerine di avanspettacolo di cui si circondava, lieto di essere o sembrare un tombeur de femmes , come il mitico Rodolfo Valentino Rudy (lo chiamavano così le sue amiche ballerine)  aveva privato la moglie della maggior parte dei beni della consistente eredità di famiglia: ville, palazzi, palazzotti, tenute, cavalli,  gioielli vari assortiti, auto grandi come salotti e molto altro ancora. Nonna Ginevra poteva solo subire: visti i tempi, non poteva certo lasciare marito, figli (due maschi) e la sua bella corazza di moglie perfetta. La pubblica morale l’avrebbe indicata come una sfascia-famiglie. Allora questa fata dei boschi, per dimenticare almeno per pochi istanti i dolori della vita, aveva scelto la sua personale “fuga dal mondo”: le sue fantasie più belle prendevano vita con le piccole sculture in marmo bianco e con i dipinti ad olio che lei creava. Soprattutto di notte. Quel palazzo dove ora viveva la Gatta era stata l’abitazione di famiglia degli avi della nonna: lì Ginevra aveva vissuto con marito e figli, lì Ginevra  si rifugiava di notte nella mansarda e sognava un amore diverso, un amore vero e pulito. Lo dipingeva nei suoi quadri luminosi, lo materializzava nelle sue piccole statue bianche. Nonna Ginevra era piena d’amore:  per questo riusciva a regalare sempre un po’ di sé a tutti, a chiunque. Soprattutto alla Gatta, a quella nipotina folle come lei. Forse era stata proprio la nonna a soprannominarla così, fin da piccola: “sei come una Gatta – le diceva – graffi….  ma chiedi solo amore.”  Eh sì, nonna Ginevra conosceva bene sua nipote: in questo momento la guardava da quell’autoritratto e non diceva una parola. Quelle labbra ferme, incollate sul quadro, bloccate dal tempo.

“E’ inutile: perché farmi del male? Perché continuo a guardare questo quadro? Perché vivere di ricordi? Lei non c’è più: punto e basta!” adesso la Gatta si gira di colpo, voltando le spalle al dipinto. Ma rabbrividisce improvvisamente: un leggero alito di vento, forse caldo, forse freddo, la avvolge dolcemente intorno al viso, solo al viso. Un’aria, un mulinello. E non cessa…. continua per un minuto almeno. La Gatta rimane ferma, incerta, timorosa, stupita: nessuna finestra è aperta! Poi, riesce a visualizzare quel venticello: è come una nebbiolina, una piccola scia color latte che si avvia verso la porta e scompare sotto di essa. Forse è una delle piccole nuvole di vapore acqueo della sua doccia! Chissà…. La Gatta si gira di scatto verso il quadro e fissa la nonna negli occhi: “no, nonna! Lo sai bene che questo non lo puoi fare! In sogno va bene…. ma non voglio sentir parlare di fantasmi! Non farmi brutti scherzi!”. Un po’ frastornata e un po’ spaventata, la Gatta ora - stranamente - scoppia a ridere. E ride, ride, ride: se quella nebbiolina fosse stata davvero nonna Ginevra? Matta,  matta di una nonna! E ride talmente tanto che le fanno male le mandibole e le lacrimano gli occhi. In verità, forse vorrebbe piangere….
Ma con tutto questo trambusto, tra ricordi e strani venticelli, stasera una Gatta può aver voglia di stare con un Duca praticamente sconosciuto e un po’ troppo sicuro di sé? Ora la Gatta non guarda più il quadro: guarda se stessa allo specchio e, mentre sente suonare il campanello del citofono, più e più volte, continua a ridere dolcemente. Dopo alcuni secondi (forse dieci, forse venti, forse di più….), il campanello tace.  La Gatta si avvicina all’angolo cottura e accende il forno: “stasera, pizza capricciosa e poi, forse, un film comico di quelli vecchiotti!”.  Toglie la pizza surgelata dal cartone e la inserisce in forno, mentre pensa che dovrà aggiungere certamente un bel po’ di mozzarella. Sono le otto passate e lei inizia ad avere fame. La pizza ora è pronta, bella calda e croccante: deve essere tolta dal forno. Cerca di fare attenzione a non bruciarsi, ma si brucia lo stesso, perché compie un movimento brusco. Sussulta all’improvviso, scossa dal suono del campanello della porta. Il campanello sta suonando? Sono le venti e trenta: non può essere ….lui, perché è  già passato prima e ha suonato al campanello del citofono! E se invece fosse lui? E se avesse deciso di fare un altro tentativo? E se…..?