24. IL
GIOCO DELLA VERITA’
A mezzanotte suonata e
passata di un giorno qualsiasi, cosa può volere di più dalla vita una ragazza
seduta sopra una vecchia e consunta
panchina di legno del parco pubblico, vicino al più romantico dei salici
piangenti, sotto una luna grande come la pizza che ha appena mangiato, con gli
occhi negli occhi dell’uomo più bello e gentile del mondo?
Forse un gelato alla crema!
Sì, un gelato con la crema, intriso di abbondante sciroppo di amarena e ricoperto
da panna a gogò. E pure le cialde. Il tutto per andare a far compagnia a quei
due o tre chili di zucchero che già sente viaggiare nelle vene a causa di un
probabile colpo di fulmine. Eppure lei non ci ha mai creduto ai colpi di
fulmine! No! La Gatta sogna quando deve sognare, non così per caso, per colpa
di uno sguardo maschile incendiario, talmente incendiario…. da “pronto
intervento vigili del fuoco”. E il gelato, oltre allo zucchero, è freddo. Sì,
qualcosa di freddo o fresco o rinfrescante o rigenerante…. ora è davvero necessario.
Alla Gatta non piacciono le
cose che non riesce a controllare. I sentimenti, per l’appunto, non si possono
controllare. E lei, si permette deroghe solo con le amiche e con il ricordo
della nonna: non con individui maschi! Come un vero felino diffida di
sconosciuti e semi-sconosciuti: deve valutare bene chi ha di fronte, prima di
concedere anche la minima possibilità di accesso alla sua sfera emotiva. E’ una
Gatta, sempre e comunque, di nome e di fatto.
“Vorrei un gelato. Posso
offrirtelo io?” domanda quindi al Duca, evitando lo sguardo da pronto
intervento.
“Stavo proprio pensando la
stessa cosa. Ma questa serata è offerta da me, dall’inizio alla fine….” e il
Duca sorride.
Mano nella mano (con
leggero disappunto della Gatta), si dirigono verso un chiosco lì vicino.
Il piazzale è stracolmo di
ragazzi rumorosi e allegri. C’è un vociare incredibile: sembra di essere alla
festa del santo patrono di un paesino. Ragazzi seduti su scooters, ragazzi
seduti sul marciapiede, ragazzi seduti su alcuni muretti. Perfino ragazzi
seduti sui rami più bassi di una vecchia quercia.
Ragazzi che ridono,
parlano, cantano strofe di canzoni e si abbracciano, per sentirsi come un’unica
anima rumorosa, scoppiettante, viva. Non ci sono barriere. Non ci sono transenne.
C’è un sottile filo che unisce tutti, perché
la notte annulla ogni preconcetto, ogni schema, ogni definizione. Di notte,
tutti sono amici di tutti, senza alcuna distinzione di età, di ruolo, di status.
E la Gatta ama vivere di
notte. Solo che lei ora, con quel vestito lungo, si sente a disagio. Vorrebbe i
suoi jeans scoloriti, le ballerine, la coda di cavallo. Vorrebbe lavarsi il
viso dalla fonduta del fondotinta. Ma in quel momento, come se le leggesse nel
pensiero, il Duca le dice: ”…quanto sei bella!” E lo zucchero nelle vene si
trasforma in miele d’acacia: denso e incollato, sempre di più, in ogni meandro
del suo corpo.
Comprati i gelati alla
crema (ma senza cialde), i due ragazzi si sistemano vicini vicini, sullo
scalino di un portone, più vecchio e consunto della panchina di prima. La
Gatta, come una bambina golosa a cui proprio non importa il bon-ton, si butta
sul suo gelato come se fosse l’unico cibo su un’isola deserta. Golosa lo è
sempre stata. Lei è convinta che il suo folle amore per i dolci sia tutta
carenza d’affetto e probabilmente è proprio così.
“Senti un po’ - dice dopo
la quinta cucchiaiata di gelato - perché
non mi racconti qualcosa di interessante della tua vita? Siamo insieme da
qualche ora, ma sinceramente non so ancora nulla di te. Cioè, so che sei
soprannominato il Duca e so che hai una
moto grande come un loft. Il resto me lo racconti a puntate?” e la Gatta
ridacchia, mentre la crema le arriva ormai sul naso.
“Beh, potrei anche
raccontarti qualcosa di me, a puntate, come dici tu. Così avrei anche
l’occasione per rivederti! Allora, cosa vorresti sapere di me in questa prima
puntata della nostra…. fiction?” chiede il Duca sorridendo sornione.
“Fiction? Calma e gesso! Guardi
troppa tv! Qui non c’è nessuna fiction! Anzi, no! E’ tutta una fiction, nel
senso che…. Boh! Mica stiamo facendo sul serio, no?” la Gatta si rende conto di
essersi incartata letteralmente in discorsi alquanto bislacchi, incastrando
idee e parole come se fossero pezzi di un puzzle complicatissimo. E lei ha
sempre odiato i puzzle!
“Okkkkay! Allora facciamo
così, se sei d’accordo: giochiamo un po’, senza impegno. Io racconterò una cosa di me e tu racconterai una
cosa di te. Va bene?” suggerisce divertito il ragazzo, ormai consapevole della
follia accattivante, affascinante, coinvolgente di quella strana ragazza.
“Mmmmhhh.... c’è
l’inghippo? C’è la fregatura?” provoca lei, tutta sconsolata nel vedere la
coppetta vuota di gelato. Ora come farà a sostenere quella conversazione senza
il carburante del glucosio? Lei lo brucia prima ancora di ingerirlo.
“Nessun inghippo. Non sono
uno stratega. Fidati. Io sarò sincero e tu pure, spero…” e il Duca convince la
Gatta.
Inizia lui, dopo qualche
secondo di riflessione, il “gioco della verità” nel buio di questa notte di ostriche e champagne,
di pizze e gelati alla crema, di farfalle nello stomaco, di esplosioni di
stelle, di zucchero nelle vene.
“Dunque. Intanto potrei
iniziare con lo svelarti il motivo del mio soprannome, il Duca. Gli
amici mi chiamano così perché ho un anello particolare, con uno stemma inciso.
E’ un anello di famiglia, di mio nonno che – credo – l’abbia ricevuto in dono
da una principessa o contessa o duchessa o roba simile. Tutto qui. Comunque sai
bene che mi chiamo Alessandro. Ale e basta. Ma tu chiamami come preferisci….” poi,
dopo un attimo di sguardo magnetico sulla Gatta, il Duca prosegue “e tu perché
ti fai chiamare Gatta?”
“Non sono io che ho deciso
questo nome. Mi chiamano tutti così. Credo sia stata mia nonna Ginevra, per
prima, a stabilire che questo nome mi calzava a pennello. Non hai visto i miei
artigli?” e la Gatta ridacchia. Il Duca annuisce e le sorride. Poi riprende in
mano la situazione.
“Adesso potrei parlarti dei
miei difetti principali. Sono un egocentrico: sì, devo sentirmi sempre al
centro dell’attenzione, in qualsiasi contesto. Forse perché in realtà non sono
così sicuro di me stesso e quindi ho bisogno di continue conferme da parte
degli altri. Poi, sono un pignolo, ma solo in certe cose: per esempio, negli
orari degli appuntamenti. E ancora, sono allergico alle piume dei volatili e
agli acari e…. sono golosissimo di cioccolato!”
il Duca sembra essersi liberato da un macigno nello stomaco. Però teme
la reazione della Gatta: ha detto due o tre cose poco romantiche che potrebbero
pure rovinare l’atmosfera.
“Ah sì? Sei goloso di
cioccolato? Io pure. Poi, vediamo, fammi pensare….. sono “scombinata”! Sì, nel
senso che spesso penso una cosa e poi ne faccio un’altra! Sarà normale? E’ come
se non riuscissi a stare dietro a quello che decide la mia mente. Vado a mille!
Forse sono dotata di un’intelligenza superiore alla media che mi permette
connessioni cerebrali velocissime: ma non ho ancora capito bene come gestire la situazione. Chissà! Magari potrei
costituire oggetto di studio sulle potenzialità della mente. Che dici: ho
doti speciali e non me ne sono ancora resa completamente conto? Ne devo prendere atto? Un altro difetto: mi
capita di dimenticarmi degli
appuntamenti o di arrivare in ritardo. Perché vivo un po’ tra le nuvole. Mi
sento spesso sospesa in un Limbo, tra sogno e realtà. Sono dotata di un eccesso
patologico di fantasia! E poi ancora, ho delle fobie: ho paura dei topi e dei
pipistrelli! Ma tanta tanta paura! Invece adoro gli animali feroci. Hai
presente i leoni, le tigri e le pantere? Ecco: vorrei avere una pantera nera in
casa, ma probabilmente non ci starebbe troppo comoda! E poi nel mio palazzo c’è
già lo zoo del professor Astrolabio e quello basta e avanza!” e la Gatta, tutta
soddisfatta del suo outing surreale, sospira e tace.
Non si ricorda neppure una
parola di ciò che ha detto: questione di rimozione immediata causa
sopravvivenza. E’ solo consapevole del fatto di aver pronunciato un bel po’ di
parole: se ne rende conto dal viso stordito del Duca.
Qualche secondo di silenzio
purificatore e nell’aria cominciano nuovamente a svolazzare le parole della
Gatta.
“Quindi? Dopo i “difetti”,
qual è il secondo tema del nostro gioco della verità? Lo decido io? Sì, lo
decido io! Adesso parliamo dei nostri desideri più grandi, dei sogni nel
cassetto e in cassaforte. Il mio sogno più grande è diventare una designer
famosissima, dalla moda all’arredo d’interni. Una come Coco: un’icona. E quando
morirò la mia arte dovrà sopravvivere a me. Voglio creare cose fantastiche,
immortali. E voglio che siano esposte al Moma di New York! Sì ….e magari
guadagnare tanto e poi partire per l’Africa e aiutare i bambini. Con i soldi
guadagnati vorrei costruire dei pozzi d’acqua ovunque. Vorrei sommergere
l’Africa d’acqua potabile. E creerei pure una fondazione!” e la Gatta alquanto
soddisfatta dei suoi progetti così modesti e facilmente realizzabili, distende
le lunghe gambe in mezzo alla strada. Ormai uno strano formicolio sembra
preannunciare crampi da tacco.
“Così poco? Hai sogni
davvero banali!" – ridacchia il Duca e poi, facendosi serio, aggiunge “io invece
vorrei diventare un pittore famoso. Sono un architetto discretamente bravo, ma
in verità amo dipingere: appena posso dipingo tutto quello che vedo. Sono un seguace
della Pop Art, attenta alla società dei consumi, nel bene e nel male. Con la
mia arte posso alterare, modificare, manipolare tutti i messaggi dei media, delle pubblicità….
Senti, se diventi una designer famosa,
magari potresti anche avere bisogno di un pittore un po’ folle. Che dici? Potremmo lavorare insieme!” e il
Duca scherza, ma non troppo, su questa sua proposta che sembra tanto
impossibile quanto i progetti della
Gatta.
“Sì. Ma comando io!” annuisce convinta la Gatta, come se fosse in
procinto di firmare un accordo di lavoro completo di termini, modalità e
condizioni varie.
Poi chiude gli occhi. Sente
il fresco della notte sulle tempie, tra i capelli scombinati, sulle ciglia.
Quel venticello le ricorda la pseudo-carezza di quella nebbiolina, qualche
giorno prima, in casa.
“E poi la nonna. Nonna
Ginevra. Lei è il vero sogno nel cassetto. La sento viva: vorrei vederla!” e la
Gatta si stupisce di aver pronunciato quelle frasi così intime, così sue, così
personali, così segrete ad un ragazzo con cui parla da poche ore.
“La senti viva? Cosa vuoi
dire? Tua nonna è morta e dentro di te è rimasto un ricordo molto forte?”
chiede il Duca interessato.
“Lasciamo perdere. Scusa.
Non dovevo!” sbotta la Gatta scattando in piedi nonostante i crampi ai piedi,
in sospetto d’arrivo.
“Perché fai così? Non devi vergognarti di sentimenti positivi, belli, sinceri!” e il
Duca tenta di riportare la Gatta alla tranquillità.
Lei ora si risiede, ma si
posiziona un po’ più lontana dal ragazzo, come per timore di un eccesso di
confidenza, di feeling. Parla, ma non lo guarda: “Già! Le assenze sono sempre
dure da elaborare. Soprattutto quelle definitive. Ma io credo che nonna Ginevra
non se ne sia andata per sempre da me. Non può, perché sa che sono
praticamente sola. Lei è con me! Lei è viva, in un'altra forma, in un mondo
parallelo! Perché sennò la storia dei…. quadri?” la Gatta ormai sembra parlare solo
con se stessa, lontana da quel portone, dal Duca, dai ragazzi rumorosi lì
vicino.
In un batter d’occhio, si è
tuffata nel suo stranissimo mondo. Il Duca la guarda e tace: a volte – e lui lo
sa – è meglio un silenzio surreale di
una frase scontata. La sua anima d’artista può comprendere l’anima ferita di un
Gatta.